2014-05-14
No. 2
Poesia e ironia (*)
Sul self-publishing/POD, sull’arroganza di alcuni ‘scrittori
in erba’, sulla ‘spocchia’ di certi editors,
ma anche una riflessione su quello che per me significa ‘scrivere’.
(*) Il titolo mi è stato suggerito da una risposta molto carina a un mio ‘tweet'
(risposta in cui mi ritrovo perfettamente, ringraziando io quotidianamente la
Sorte per l’autoironia cui devo la mia resilienza e rincorrendo, quando leggo o
scrivo, la poesia/musica nelle parole altrettanto quanto il loro significato).
Premessa
Come ho scritto in
un 'tweet', per me scrivere è un po’ come
comporre musica con le parole:
Credo che nelle
citazioni seguenti si potrebbe sostituire ‘Jazz’ e ‘play’ con ‘writing’:
- Jazz is not just, ‘Well, man
this is what I feel like playing.’ It's a very structured thing that comes
down from a tradition and requires a lot of thought and study.
(Wynton
Marsalis)
- Jazz can be learned, but it
can't be taught.
(Paul Desmond)
- Don't play what's there, play
what's not there.
(Miles Davis)
- It’s the notes that you don’t
play that make the difference.
(Miles Davis)
Scrivere non
significa rovesciare sulla carta emozioni e immagini più o meno ‘connesse’,
richiede impegno, studio e, sì, anche ‘fatica’. Però, se il ‘jazz/writing’ può
essere ‘imparato’ non può essere ‘insegnato’; sembrerebbe un paradosso, ma in realtà è vero: si possono apprendere le tecniche di
scrittura, si può imparare a scrivere bene, ma quello che ‘fa la differenza’,
che permette di andare oltre la ‘bella immagine’, è ‘suonare quello che non
c’è’, che non è ancora stato composto, o reinventare ciò che è già stato
‘scritto’ in modo che sia comunque ‘altro’. Poi, al di là della tecnica, del
‘bello scrivere’, occorre qualcosa in più, quello che distingue un libro come
tanti/troppi da un’opera d’arte/classico (o che comunque lo rende 'originale’),
ed è quel qualcosa che anima le parole dal di dentro, che ‘non si scrive’: le
note che (per l’appunto) ‘non si suonano’.
Perché questo post?
Perché mi sono
imbattuta, per caso, nel corso dei miei viaggi incrociati sul world wide web, in un appunto/post sul self-publishing et al. (invero risalente a qualche anno fa) nel Blog di una nota casa editrice.
Stupita non tanto
dal contenuto quanto dal tono del post,
a dir poco offensivo nei confronti dei cosiddetti autori ‘esordienti’ – i quali,
che sia ben chiaro, non hanno alcun ‘diritto’ di essere letti solo perché hanno
deciso di scrivere illudendosi che il loro ‘prodotto’ sia in qualche modo
‘degno’ di attenzione (almeno stante a detto post) – da parte di un autore/editor
a sua volta relativamente esordiente e il cui libro a dire il vero non ho
trovato così entusiasmante (parere, ovvio, del tutto personale, come del resto
lo è quello di ogni lettore, che sia tale per professione o per diletto) o
almeno non certo degno di autori tipo (due a caso) Malamud o Sciascia; pur
concordando, in parte, con quanto letto nel post
e negli abbondanti commenti sottostanti, mi sono sentita come ‘parte in causa’
(avendo io ‘pubblicato’, ossia ‘reso disponibili in formato
cartaceo/elettronico a un eventuale pubblico che fosse interessato’, alcuni
libercoli su uno dei siti citati in detto post
come es. di ‘feccia’ i.e. ‘ilmiolibro.it’) in obbligo di difendermi.
Lasciando perdere
cosa realmente significhi o si intenda ‘oggi’ con ‘pubblicare’, mi focalizzo
sul lato offensivo ed evidentemente ‘di parte’ del post.
Lo
pseudo-sillogismo dell’editor/autore
del post era di questo tipo:
(A) se ti auto-pubblichi
sei un narciso
(B) se scegli il Print On Demand sei un allocco
– e, in ogni caso,
ovviamente, non sai scrivere –
quindi (A+B=C):
non sei degno di essere preso in considerazione da parte di un qualsivoglia
‘editor’ affermato intellettuale raffinato ed esperto e sarai ‘scartato’ a
priori/a prescindere da qualsivoglia casa editrice seria (di qualunque
dimensione).
Dubbio ca. la
qualifica di esperto: merito (1) conquistato sul campo dopo anni di gavetta
come correttore bozze/studi (lauree e/o specializzazioni post-diploma)
specifici? o (2) bypassato (a) per conoscenze ‘dirette’ nella ricicleria
della cittadina natale e da qui poi lanciato, missile terra-aria, nel
continente ‘mondo’? o (b) riuscendo a farsi pubblicare un libro attraverso
incroci e incontri di natura diversa ma non sempre alla portata di tutti? Ovvio,
la fortuna, si sa, è per definizione cieca e, ancora più importante, bisogna
saperla afferrare con le unghie uncinate di un lupo mannaro.
Non che ci si
possa aspettare un parere diverso da chi fa parte dell’establishment, sarebbe ingenuo, ma, in effetti, però… magari un po’
più di ‘rispetto’? Non tutti quelli che si auto-pubblicano ‘sanno scrivere’,
vero, ma ce ne sono altri che, in effetti, scrittori lo sono già, di
professione, e hanno scelto di affidarsi a una ‘tipografia online’ per motivi
diversi. Nella fattispecie, sul sito tanto denigrato dall’autore del post, ho letto libri scritti da
giornalisti, sceneggiatori et al. molto più apprezzabili
(linguisticamente/letterariamente) e originali del suo (parere personale,
ovvio).
Certo che dopo
aver letto un post su un blog di cotanta fama e ‘penetrazione’
tra gli amanti dei libri che affossava senza mezzi termini e con malcelato
disgusto il sito di POD che pure io, sventurata!!, avevo scelto come
‘stamperia’… non ho potuto frenare una spontanea reazione.
‘Ma chi te l’ha
fatto fare? Auto-pubblicarsi equivale a firmare un’autocondanna a morte
letteraria (ammesso avessi qualche velleità in tal senso). Dovevi pazientare,
smuovere terre e acque, incurante di liquami e frattaglie, e realizzare il tuo
sogno (perché, ammettilo, sognavi pure tu!!) nel modo ‘tradizionale’. Ora per
il solo fatto di aver scelto l’innominabile sito sei ‘doomed & framed’, condannata
ed etichettata a vita come ‘narcisa incapace e allocca’, scartata prima ancora
della pagina/dedica, negata a prescindere del diritto (ma quale ‘diritto’?
‘speranza’, piuttosto) di essere letta, un paria della scrittura da non leggere
perché sicuramente son soldi e minuti buttati’.
Certo che se un autore
che stimo, o un editor obiettivo e
scevro d’interessi/invidie personali, dopo aver letto l’‘obbrobrio’, pacca
sulla spalla, voce dolce e paterna, mi avesse consigliato: ‘guarda, meglio torni
a sfornare biscotti’, forse mi sarei messa il cuore in pace e avrei scritto le
mie ricette in rima, ma detto così, da uno scrittore come tanti/troppi (ok,
valutazione personale), che solo perché ha una vetrina ‘ufficiale’ la usa per
sparare a zero e preservarsi il proprio cappuccino (ok, forse la colazione la
‘salta’), è come una staffilata alle spalle, inflitta e ricevuta a prescindere
dal meritarsela o no.
Già, che ne sa
costui dei sogni altrui, a lui interessano solo i propri, e mica se l’è scelto
male il soggetto del suo primo libro, anzi… facile, facile, quasi quanto oggi
scrivere ad es. un libro pro/contro euro/Europa: quello qualcuno te lo pubblica
sicuro, tema giusto nel tempo giusto. L’editoria è marketing, non scordiamocelo, mica beneficienza! E chi mai ha osato
dubitarne? specie in queste annate di magra anche per i grandi nomi; quei pochi
che riescono a far soldi (e a farne fare alle case editrici) si contano forse
su quattro paia di mani in tutto il mondo. No, non è il parere di un singolo
che mi preoccupa, è che, data la posizione che occupa, il suo pseudo-sillogismo
è in grado di influenzare il parere di altri editors/lettori, oltre alla consapevolezza che molti, nella sua
stessa posizione o comunque all’interno dell’establishment, sono pienamente allineati e concordi: chi si
autopubblica non va neppure considerato, punto.
Cheto la vocetta
interiore e mi consolo un po’ con i commenti a detto post e ad altri simili che trovo sul web.
Ecco, guarda, c’è
il blog dedicato agli scrittori
esordienti che sconsiglia il POD perché se ti fai stampare il libro da te o sei
stupido o sei incapace o sei arrogante (stesse parole – ma cos’è un ‘copia e
incolla’? – del precedente) o (e questa è nuova) sei vittimista e pigro. Datti
da fare, mica ti piove dall’alto il contratto di pubblicazione: leggi, scrivi, contatta,
frequenta, riscrivi, ricontatta (roba da stalkers)…
Sì, ma chi? cosa?... Editors noti/altri
scrittori che ce l’hanno fatta (e non siano competitivi/invidiosi, ovvio; ma
che idealismo ‘romantico-buonista’!), case editrici (nota bene quelle ‘piccoline’,
che fanno fatica a resistere e che encomiabili nel loro sogno – parallelo a
quello di detti esordienti – non siano già ‘in liquidazione’ a pochi anni
dall’apertura), gruppi e sottogruppi di scrittura, ecc.
Mi viene da
ridere, ma per fortuna uno ‘scrittore vero’, giornalista noto, che in passato
ha pubblicato per vie ‘consone’ e poi ha optato per il POD, ci aveva già
pensato a commentare…
Vedi, ‘cara’, non
è proprio così facile come dici, non è che uno sia per forza pigro o vittimista,
forse solo disilluso, forse solo un pochetto più esperto di come funzionano le
cose nella ‘realtà’ (e non nel mondo ideale).
…e concludeva con un
ironico augurio alla carriera letteraria dell’autrice del post. Già perché l’autrice del post,
oltre che a, chiaramente, ‘darsi da fare’ sul web come consigliava ai ‘pigri
vittimisti’, aveva i propri libri nel cassetto.
Viene da pensare
che molti di questi posts
pro-editoria tradizionale che girano sul web rovesciando insulti contro chi (avendo
solo una vita da vivere) decide di far stampare il proprio libercolo da
sé, siano scritti se non da ‘interni’ all’establishment
da altri che aspirano ad entrarci, per attirare attenzione su se stessi (?).
Beh, di sicuro non denotano pigrizia, solo ‘banalità d’idee’, forse anche un
pizzico di nostalgia retrò, ma soprattutto sono vittime pure loro: perché non
c’è molta differenza tra chi lecca e chi denigra, la differenza vera la fa chi
resta obiettivo ;)
Senza contare che
essere bravi a ‘promuovere’ un prodotto non implica automaticamente che quel
prodotto sia valido. Un bravo ‘scrittore’ non è necessariamente un bravo
‘agente’ di se stesso (e vice versa),
e non tutti se lo possono permettere un bravo agente. No, nessun vittimismo, il
mio è ‘realismo’.
Dovremmo tutti
iscriverci a corsi di editoria e self-marketing/self-branding oltre che di scrittura? Un
vero business, che (almeno in Italia)
produce certo più introiti della vendita dei libri ;)
Certo se non vuoi
investire tempo/denaro in questi corsi non è perché non puoi (non hai
denaro/tempo) è perché non ti dai da fare a sufficienza e preferisci un passivo
vittimismo; il che può essere anche vero per alcuni, ma non ‘necessariamente’
per tutti.
Vedi, ‘cara’, c’è
chi cerca di sopravvivere e non ha santi protettori (genitori, partners o altro) che gli/le paghino
cappuccino e affitto… e corsi di ‘specializzazione’ (che poi, se non si hanno
‘agganci’, servono?). Cara ‘sputa-sentenze’ hai mai provato a scrivere a pancia
vuota, ecc. senza svenire? Certo ‘oscillare’ a un passo dalla finestra aperta
non sarebbe male, problemi sussistenza/pubblicazione? risolti; basta si stia ai
piani alti, ovvio. Immolarsi al sacro fuoco dell’Arte… E poi che ne sai? Magari
chi poi opta per il POD è proprio chi scrive a lume di candela, nella propria
soffitta fredda, mangiando latte e biscotti, ed è pronto a sacrificare il
sacrificabile perché nel suo sogno ci crede; poi può anche essere un illuso
ignorante incapace, ma non necessariamente, non ‘a prescindere’.
Altro dubbio che
alcuni sollevano: non è che le case editrici ‘tradizionali’ abbiano paura (solo
un pochetto) che questo dilagare di ‘dilettanti’ sottragga loro quei già pochi
lettori che risicando si contendono?
No, dei lettori e
utenti del sito ‘ilmiolibro.it’ (o di altri simili) l’‘autore pubblicato’/editor del post che ha ‘iniziato’ la mia reazione spontanea (ma non è certo
l’unico a pensarla così) se ne infischia: tutt’altro mercato! Ovvio neppure
pensa alla quantità, perché quella in Italia possono vantarla solo gli editori
di libri scolastici e ricette per cucina, è alla qualità che si riferisce, o
sotto-qualità :(
Ok, un po’ di
ragione l’ha pure: la maggior parte di chi si auto-pubblica non conosce la
differenza tra una virgola e un punto, e questo non è neppure il problema più
grave; però, ecco, i preconcetti snob
‘a senso unico’ mi danno fastidio, soprattutto se poi si leggono le ‘perle
rare’ che selezionano certi editori ‘tradizionali’, certi libri pubblicati
‘come si deve’, alcuni anche premiati da concorsi noti (pilotati ad hoc?, ci si chiede). Beh, si sa, i
soldi non sono mai sporchi e puzzano solo quelli che sono nascosti nei calzini
degli altri... già. Giocare facile; e chi non lo farebbe? specie di questi
tempi. Meglio investire su una faccia nota che poi usa, se va bene, il ghost writer per accomodare la sua
biografia stantia e del resto ‘chissenefrega’, tanto tira.
Investire su un
emerito nessuno non è da tutti, pochi se lo possono permettere, ed è davvero un
tour de force distinguere tra tutta
quella carta straccia rovesciata a sacchi dal postino il prossimo best-seller (figurarsi un possibile
futuro ‘classico’). Un po’ come per un selezionatore è difficile estrarre il CV
migliore e veritiero dal mucchio esponenzialmente crescente sia per quantità
che plagio. Nulla da eccepire al riguardo, anzi si sente un moto di pietà per
l’editor/selezionatore attorniato da
tutti quei sacchi di ‘immondizia’ (ma davvero sono ancora cartacei i plichi?).
Perché poi perdere
tempo? Tanto, alla fine, è mero marketing
mirato, che si pubblichi per la ‘massa’ o per una stretta cerchia d’élite. Se
si pompa un libro come la novità dell’anno che va assolutamente letta secondo
il tal critico/autore/personaggio famoso pochi oseranno dissentire e dire che è
una ‘cagata al cubo’, pena passare per stupidi/invidiosi. ‘Se lo dice quel tipo
importante… se ne intenderà certo più di me’, davvero?
Lo si sente dire
da anni: non c’è più abitudine a leggere, si legge poco, si legge male, si è
perso anche quel ‘senso critico’ che permette di distinguere e riconoscere i
propri gusti, persino il ‘lettore forte’ a volte si affida troppo alle
recensioni e compra a scatola chiusa senza ‘sfogliare’. C’è chi poi compra i
libri come compra i detersivi al supermercato: guarda il prezzo, soppesa
il numero di pagine, si ricorda che quel nome lo ha già ‘sentito’, quindi è un brand che ‘assicura qualità’ e non farà
sfigurare in metropolitana o in spiaggia.
Si può ‘rimediare’
a questa ‘picchiata netta’? Penso di sì; se gli editors/editori ‘seri’ smettono di restare arroccati in una
posizione di difesa passatista che alla fine li danneggia e si aprono/adeguano
al ‘cambiamento’: perché se si critica ‘in negativo’ bisogna proporre ‘in
positivo’. Il relativamente nuovo (in Italia) incremento di POD e self-publishing dovrebbe fare riflettere
i ‘guru’ del settore in modo auto-critico, invece che alzare la punta del
naso e ridere di questi ignoranti pseudo-lettori/scrittori… forse non tutto è
come pensano/vorrebbero (far) credere, magari c’è dell’altro che ‘vale la pena’
di analizzare meglio.
Perché ‘io’ ho optato per
il POD?
Quando ho deciso
di pubblicare il mio primo libro non l’ho fatto per ‘narcisismo’ o perché mi
illudessi che qualcuno della ‘cricca che conta’ (NB: espressione non mia, ma
trovata in uno dei commenti letti sul web) tra le migliaia (forse più) di libri
postati sul sito si imbattesse e leggesse e apprezzasse proprio il mio. No.
Anzi, sono convinta che la ‘cricca che conta’ (ossia case editrici ed editors seri/colti) quel sito non lo
guarda proprio… sia perché ha già troppo da fare per vagliare altri testi, sia
perché dà per scontato che non ne valga la pena: meglio tenersi il poco tempo
libero per far riposare gli occhi o scrivere un post su un blog d’élite o
‘twittare’ ad hoc (marketing più o meno subliminale).
E allora perché?
Perché mi andava
di farlo, tutto qui. Non era nemmeno il libro che avevo ‘nel cassetto da anni’,
no, era nato quasi per caso pochi mesi prima, un esperimento musicale-letterario, il ritmo del Blues che scandisce un’esperienza
precisa e limitata nella vita di una donna e l’analisi introspettiva sulla
stessa che ne segue, ironica e amara al tempo stesso. Ogni parola è stata
scelta per il valore musicale che aveva nel contesto oltre che per il suo
significato proprio.
Perché prima non
provare a inviare il ‘manoscritto’ a qualche casa editrice?
Non per pigrizia,
ma per ‘consapevolezza’. Non avendo alcuna conoscenza diretta tra le alte sfere
(e comunque per carattere non avrei accettato ‘raccomandazioni’ o spintarelle),
sapevo che non avrei ricevuto attenzione se avessi inviato il plico a una di quelle
case editrici indipendenti che già faticano a stare a galla, se non forse per
‘un colpo di fortuna’ (mai avuto in vita mia, poco probabile l’avessi ora). Questi
editori ‘minori’ poi (almeno quelli che conosco e che ancora accettano di visionare
uno sconosciuto e promettono una riposta, fosse solo un ‘no grazie’, entro un
anno) non prevedevano in catalogo un libro come il mio: una forma troppo a sé stante/originale, un testo decisamente ‘non alla
moda’. Ho pensato se lo faccio stampare e vedono ‘come esce’ forse ho
una possibilità in più che lo sfoglino… Ingenua? Probabile.
Mi credo una scrittrice?
(LOL)
Lo sono, da
sempre, anche se quel mio ‘libro nel cassetto’ probabilmente resterà in fieri e finirà nella spazzatura dopo
il mio decesso. Dire che mi sento una scrittrice ovviamente non implica che mi
consideri una ‘grande’ scrittrice. Non sono un narciso, o forse sì, magari lo
sono, fiera della mia indipendenza di pensiero (per quanto possibile).
Alcuni dicono che
scrittori si diventa, che si impara faticando (e ‘pagando’; le scuole di
scrittura son lì per questo), io dico che scrittori si nasce. Si può imparare a
scrivere bene/correttamente certo, quanto basta per scrivere un articolo su un
giornale, come si possono imparare le tecniche per pubblicare un best-seller ad hoc, ma per me essere
scrittori è qualcosa di diverso, che ha radici più profonde. Saper scrivere è
solo la base di partenza, principio necessario ma non sufficiente si direbbe in
matematica. Ovvio che non basta rovesciare parole su parole per definirsi
scrittori, né pubblicare o farsi pubblicare un libro. Tra i tanti che oggi
pubblicano (non attraverso servizi POD, ma case editrici più o meno famose), di
‘scrittori veri’ non ne trovo molti, non in Italia purtroppo.
So bene che il mio
stile non segue i gusti correnti, l’architettura del testo e la struttura della
frase non riflettono la scaletta da tema scolastico: preambolo/corpo/conclusioni/fine;
soggetto + verbo + complemento oggetto e qualche aggettivo/avverbio di contorno.
Non m’interessa, di quelli ce ne sono già a bizzeffe. Io scrivo la musica che mi suona dentro e come per la musica, se
uno ama un sound laccato e preconfezionato in studio di registrazione, è
difficile che ami il Blues o il Jazz.
Del resto non mi interessa raggiungere la 'perfezione asettica', mi interessa la 'verità pulsante', come ho scritto nel mio
primo libro (Un uomo semplice):
‘c’è chi vive ‘l’arte per la vita’, chi
‘l’arte per l’arte’ e chi ‘la vita per l’arte’, ossia vive l’arte al punto da
sovrapporla e farla coincidere con la propria vita’.
Credo che ‘Un uomo
semplice’ sia un buon libro?
Sì. So che avrebbe
necessitato di ulteriore editing, che
mi sono sfuggiti un po’ di typos e
qualche virgola (colpa di anni di 12 ore di fila al giorno davanti al PC, non
solo ho lavorato sottopagata e con straordinari non riconosciuti, weekend
inclusi, ma, beffa su beffa, ci ho rimesso la vista!). So che avrei dovuto
farlo riposare alcuni mesi e poi riprenderlo e levigarlo, ma non avevo tempo,
non so quanto ne avrò ancora del resto. Sono sempre stata una perfezionista, ma
col tempo ho imparato a dirmi: ‘ok, la perfezione non esiste, questo è il
massimo che posso raggiungere/produrre ora’. Mentirei se mi dicessi soddisfatta
al 100% (lo sono al 96%), però so che il libro è un buon libro.
Sono una lettrice
severa e negli anni ho imparato anche a essere schizzinosa (leggere ‘con
attenzione’ richiede tempo, meglio non perderlo con testi che non mi
dicono/danno nulla). So che il mio libro non è un capolavoro che passerà
alla Storia, ma so che mi è piaciuto rileggerlo ancora più che scriverlo. È un testo particolare, ricco di immagini e
spunti di riflessione, una storia che nella sua ‘normalità’ si carica di altro,
proprio come il Blues, un ritmo solo
apparentemente ‘semplice’.
In cosa è diverso
e perché lo consiglierei?
Primo: è ben
scritto (lo so); secondo: è sincero (e si sente); terzo: ha una forma
originale. Ogni parola (o quasi) è stata scelta, soppesata e fatta risuonare. È
come una composizione musicale, le parole si rincorrono come note, si
riallacciano, riflessioni/ritornelli vengono ripresi e ampliati. La prima parte
scorre veloce e si può leggere tutto d’un fiato in poche ore; nella seconda il
ritmo rallenta, il testo si fa più denso ed è meglio suddividere la lettura.
Chi ama la musica Blues la ritroverà.
Pensavo fosse un libro ‘al femminile’, ma mi ha sorpreso: le recensioni ed
i commenti più ‘belli’ che ho ricevuto (sul sito e non) sono stati da parte di
uomini.
Perché ho scelto proprio ilmiolibro.it?
Semplice. Volevo far
stampare il libro che avevo scritto ed era l’unico sito (almeno tra quelli che
allora avevo visionato) che accettava il file in formato Word (non avevo
possibilità di convertirlo in e-pub o farne un .pdf decente) e consentiva di
stamparne ‘poche copie’ (anche se per l’autore il costo ‘singolo’ non era certo
basso e obbligava, caso si optasse per la vetrina/vendita, a un prezzo di
copertina relativamente alto per ‘pareggiare’; ma che me ne facevo di 100/500
copie a costo inferiore?).
Poi offriva nel
‘pacchetto’ anche l’ISBN (lo so, si può acquistare anche privatamente, però
diciamo che era una scorciatoia comoda) ed il sito dopotutto era gestito da Feltrinelli/L’Espresso, una specie di
garanzia in più. L’ISBN l’ho richiesto per due motivi: (1) si sa mai che
qualcuno volesse acquistarlo in libreria (non tutti ancora si fidano
dell’online); e (2) era una specie di salvagente supplementare, si sa mai
che qualcuno lo plagiasse. So bene che basta ‘pubblicare’ un testo per
aver riconosciuto il copyright, però
diciamo che era una sorta di ulteriore tutela, per ingenua che possa apparire.
Delusa dalla mia
esperienza su ilmiolibro.it? No.
Offrono quello che promettono e non promettono più di quello che offrono. Chi
si ‘illude’ di essere notato e diventare famoso si ‘auto-illude’, punto; ed
essenzialmente perché non sa leggere o legge (nelle varie guide all’uso,
suggerimenti, ecc.) quello che vuole leggervi; della serie: se neppure sanno
interpretare correttamente quanto scritto nella propria lingua…
Vero che il
contratto che ‘si è costretti’ a sottoscrivere è sbilanciato tutto a favore del
sito, vero che sono pagine e pagine di clausole e giri di parole orchestrati ad
arte, ma dopo anni di studi legali ho visto di peggio e, alla fine, per quello
che mi serviva andava bene. Sono consapevole di aver sottoscritto un contratto ‘sibillino’
e assurdo per un sito che fornisce essenzialmente un servizio di tipografia/vetrina/spedizione,
ma avete mai letto le clausole di applicazioni quali Twitter o Facebook o simili?
È ovvio che non ci sia nulla di ‘gratis’ a questo mondo, che qualcosa ci
debbano pure ricavare, ma non sempre è esplicitato ‘chiaramente’ cosa… eppure
tutti le scaricano senza fiatare, ‘cliccano sull’ok’ scrollando le spalle o
peggio neppure le scorrono le clausole. Insomma, non sono certo dei santi
illibati gli avvocati che hanno redatto il contratto per ilmiolibro.it, ma tra tanti pescecani perché additare solo (o
soprattutto) loro? Perché il sito ha una ‘comunità’ (troppo) vasta? È poi
davvero ‘al limite dell’illegale’ questo contratto come alcuni posts implicano? Mmm, direi piuttosto che
chi l’ha scritto è stato molto abile, ma non tutti quelli che lo sottoscrivono
sono ‘allocchi per definizione’. Che si può fare altrimenti? Aprire Partita Iva
e vendere via proprio blog/sito web?
Perché auto-pubblicarsi e vendere online senza POD/intermediario significa e-commerce, per quanto ne ho capito io
almeno.
‘Non è chiaro il
loro sistema di fatturazione’? Vero, quel sito è un casino in tutto: l’accesso,
l’upload, la lettura in anteprima dei
testi, la conversione in formato e-book
troppo costrittiva e con resa non eccezionale (per quanto io sia esperta di editing e impaginazione non c’è verso di
modificare l’impostazione del template),
persino la distribuzione via corriere (per ricevere le poche copie del mio
secondo libro ho aspettato più di un mese tra disguidi vari)… e quando ti
mandano il ‘resoconto vendite’ capisci come anche l’amministrazione non sia
molto meglio. Non posso fare confronti con altri siti però, e quindi non mi
sento di puntare troppo il dito su ilmiolibro.it
che comunque, alla fine, produce una stampa decente, su carta di consistenza un
po’ migliore di quella igienica, con una rilegatura che non puzza troppo di
colla e resiste ad aperture ripetute.
E che dire dei
concorsi? Un ovvio sistema di marketing
pilotato ad hoc. Eppure, hai
partecipato anche tu a quello di Poesia? ;) Sì, vero, l’ho fatto per gioco
(tanto era ‘gratis’), ma ben consapevole di quanto questi concorsi
(prosa/poesia/fumetti...) siano solo una palestra per gli alunni di una certa
‘scuola’. Alle modalità del processo di selezione poi credo poco, soprattutto
valutando quanto ‘è passato’, alcuni componimenti buoni e interessanti ma
altri… ok il ‘de gustibus’ però… insomma una riconferma.
Non sono qui a
difendere l’indifendibile. Il sito non sforna autori provetti, non scopre
talenti, è un cimitero di copertine (alcune originali e belle, alcune ‘scopiazzate’,
altre create con stampi stile biscottificio). È un mercato d’illusioni di cui
l’unico beneficiario reale è l’erogatore del ‘servizio stamperia’. Però c’è da
notare che illude solo chi si lascia illudere, perché è ben chiaro che ilmiolibro.it di ‘promozione’ non ne fa.
Pure la pubblicità a pagamento è un’ennesima illusione: chi diavolo vuoi che la
prenda in considerazione? Ti farà sentire figo per una settimana, ma poi? più
depresso di prima.
Soddisfatta ? al
60%. Considero il sito per quello che vale, e non mi aspetto altro. Persino la community virtuale non è male. Non tutti
gli iscritti sono egoisti presuntuosi a caccia di (improbabile) fama che appena
vedono un nuovo iscritto gli inviano un messaggio di default (‘ciao, benvenuto,
ti va di leggere il mio libro e di regalarmi un commento?’), mi sono imbattuta
anche in persone carine che come me osservano con distacco e ironia le
dinamiche dell’utente medio e del sito, persone con cui ho allacciato una
mini-corrispondenza a distanza. Insegnanti che si dilettano a scrivere nel loro
tempo libero o giornalisti che pubblicano un gioiellino degno di Einaudi (per citare uno degli ‘editori seri’
che rispetto di più). Tra gli utenti che hanno recensito o commentato i miei
libri (e che poi ho inserito tra i
miei ‘amici’) ce ne sono alcuni che mi hanno sorpreso. Chiaramente in un sito
del genere ‘commenti e recensioni’ sono per lo più un gioco di riflessi e
spesso mera richiesta di uno ‘scambio di favore’ (cui io mi sottraggo per
principio) per ottenere quella visibilità che il sito ‘consiglia’, ma a volte
sono interessanti punti di vista sinceri o paiono aver colto davvero qualcosa
di quello che volevo trasmettere e, allora, ok, mi sorprendono.
Sono d’accordo, il
sito non è il massimo, sicuramente ogni anno ne nasce almeno uno nuovo che
offre servizi analoghi e ci sarà di meglio. Però la spocchia di chi considera
gli utenti di un sito di POD come dei ‘pezzenti’ di una pseudo-letteratura di
‘fascia di mercato N/A’ i.e. neppure classificabile a lato di quella alta e
dotta, e poi magari promuove, o contribuisce a promuovere, ben altre
immondizie, proprio non va giù…
Ma che ne sai tu di
‘critica letteraria’ e di come si scelgono/valutano libri e autori? Tu,
allocca, narcisa, ignorante, pigra e, comunque, incapace!
No, non ci sto a
essere definita un’allocca; né tantomeno sono un’arrogante cacciatrice di fama
pronta a tutto pur di far carriera sugli scaffali di una libreria di remainders. Se avessi mirato
alla fama avrei investito (anni fa) in un bravo chirurgo plastico invece che in
una ‘inutile’ educazione che non ha fatto altro che aprirmi bene gli occhi
sulla realtà del vivere, il che per chi non accetta di sopravvivere
equivale all’inferno.
Dissento
sull’affermazione che gli utenti di ilmiolibro.it
siano tutti ignoranti sprovveduti.
Io ho una
biblioteca immensa (ho iniziato a leggere a 5 anni, a 9 anni avevo già letto I Promessi
Sposi, l’Iliade e l’Odissea, a 13 Baudelaire, Dante, Borges, Mann, molti
dialoghi di Platone e quasi tutto Shakespeare, per citarne solo alcuni) e che
spaziano dalla letteratura (greca / latina / francese / anglosassone / tedesca / russa / giapponese / spagnola / latino-americana / norvegese /
portoghese / indiana / africana...) alla filosofia, dalla storia dell’arte
all’economia, dalla mineralogia alla medicina. Conosco altri utenti che sono
insegnanti, giornalisti, che di libri ‘dotti’ ne leggono o hanno letti un bel
po’ e vista la loro età forse anche molti di più dell’autore/editor del post che con la sua supponenza ha scatenato la mia indignazione.
Ho letto altri
testi su quel sito, l’ho fatto per curiosità, per farmi un’idea di quello che
altri scrivono o amano leggere. Alcuni mi hanno commosso (sogni infantili che
mantenevano la goffaggine zoppicante dei temi di scuola elementare), altri mi
sono piaciuti al punto che li ho acquistati, altri ancora (pur scritti ‘bene’) mi
hanno fatto indignare e gridare ‘plagio’ (di altri racconti/libri o
sceneggiature di film più o meno famosi).
Persino io sono
stata plagiata (l’ho scoperto per caso), so che non si tratta di ‘fonti comuni’
perché il passo in questione era mio al 100%, originalissimo e sofferto, e dato
che sapevo che il mio libro era stato letto, o almeno sfogliato, dalla persona
in questione era abbastanza ovvio le fosse caduto l’occhio.
Poi mi viene da
ridere al pensiero che, magari, ci sono anche autori affermati e colla puzzetta
sotto il naso nei confronti del POD, che, a caccia d’idee e nuovi spunti, se li
leggono pure, di soppiatto, questi ‘pezzenti che si auto-pubblicano’ e… tanto
chi si accorge del plagio?
Ok ‘leggere’, ma
del ‘valore’ di un libro, tu che ne sai?
Vero, io sono un
emerito ‘nessuno’, ma che in un percorso di studi eclettico e vario ha
‘incontrato’ anche la critica letteraria e linguistica; un’appassionata di parole
e musica; una ex divoratrice di carta che non solo ha letto molti, se non
tutti, dei ‘classici che contano’, ma che ad es. ha ‘scoperto’ e si è
innamorata dello stile di Ian McEwan in una piccola libreria di Londra anni prima
che diventasse ‘famoso’ in Italia; che ama Faulkner e Poe altrettanto quanto
Stendhal e Rimbaud, Shakespeare quanto Dante, Alfieri quanto Ibsen, McCarthy
quanto Woolf, Mishima quanto Yourcenar, Seneca quanto Bonhoeffer; che ancora
non ha trovato un autore italiano ‘recente’ che sia all’altezza (contenuto e
forma) di Calvino, Buzzati e Pirandello (ok, de gustibus), ma tanti americani che la fanno respirare di sollievo;
che appena può legge in originale; che ha scritto articoli che hanno firmato
altri; che non è affatto presuntuosa, ma che di fronte ai superbi tira fuori le
unghie e, ok, anche le qualifiche.
Non sparate sul pianista
ma diffidate della supponenza, e del presupporre a prescindere
La mia autodifesa
è stata scatenata dal J’accuse
dell’appunto/post di un editor/autore, ma è uno ‘sfogo’ un po’
più ampio che esula dallo specifico e vuole riflettere su certi ‘critici’ che
si parlano addosso e auto-incensano, poi magari, se gli piazzassero sotto gli
occhi un brano in originale, senza titolo e fuori contesto, non saprebbero distinguere
Carver da Capote, Yourcenar da Sagan, Baudelaire da Rimbaud, Borges da García Márquez… un po’ come certi assaggi alla cieca: è brunello o
valpolicella? spuma o gazzosa?... o finirebbero per etichettare come
‘originale’ il chiaro ‘falso’ di un non-autore ;)
Invito a leggere
anche gli sconosciuti (che scrivono senza protettori e ‘propellenti’) non per scoprire
chissà quale classico snobbato, ma per la gioia di trovare – ok, nascosto tra
migliaia di plagiari, tessitori di pastiches
e sgrammaticati – qualcosa di originale che (chissà) magari ci piace perché è
‘in sintonia’ con noi e ci comunica qualcosa di più di tanti libri noiosi e
banali nascosti dietro copertine ‘firmate’ che ci vengono presentati come
‘imperdibili’ e che una volta terminati quasi non ce li ricordiamo.
Ricerca/scelta
difficile? Neppure tanto; basta un titolo che ispira, una scorsa veloce,
leggere qualche frase a caso… Io ho trovato così molti dei libri che più ho
amato, prima in libreria e ora online… anche di autori che famosi lo sono
diventati solo molto tempo dopo, che quando li avevo ‘raccolti dal fondo dello
scaffale’ erano ancora ‘nessuno’, almeno in Italia.
Non è meglio
‘assaggiare’ e poi decidere, secondo il proprio gusto, che affidarsi a quanto
viene presentato ad arte da recensioni non propriamente ‘indipendenti’? Parere
personale, appunto: a me piace poter scegliere quello che ‘piace a me’.
…post scriptum…
Non riporto il link ai posts che ho letto e che hanno suscitato la mia ‘risentita’
reazione perché non voglio fare ‘pubblicità’ ai loro ‘autori’, basta fare una
breve ricerca su Internet e credo che si possano trovare facilmente, insieme a
molti altri simili: invito a non fermarsi alla lettura dei posts, ma a leggere anche i commenti (pro e contro).
La discussione sul
POD/self-publishing ecc. è comunque
vivace e interessante; anche se chi si schiera per partito preso – IMHO – non
dimostra l’intelligenza che poi dice di non ritrovare in chi neppure ‘si degna’
di leggere.
Copyright © 2014
Donatella Gortanutti. All rights reserved
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