Osvaldo Licini
( 22.03.1894 ∞ 11.10.1958 )
Un pittore e un poeta del colore e del segno che sapeva ‘vedere attraverso’.
“Solo l’artista mi interessa quando è grande.”
Osvaldo Licini (Questionario Scheiwiller - 1929)
(9x14cm
- 1956)
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I. Love at first
sight
II. Eremita con il naso all’insù
III. Segni NON Sogni
IV. Segni e colori
V. Tra il serio e l’irriverente: gli archetipi
V.I. I numeri
V.II. Le lettere
VI. Connessioni e composizioni
VII. Compagni di viaggio
VIII. Assonanze
IX. Et j’ai vu quelquefois ce que l’homme a cru
voir
X. …col cuore e col pensiero nella mano...
XI. Et mon esprit, toujours du vertige hanté…
I. Love at First Sight
Ci sono degli
incontri inattesi, con persone, oggetti, immagini, luoghi; incontri che non
hanno bisogno di parole, che avvengono in momenti sospesi al di fuori dal
tempo, ‘perfetti’; qualcuno li chiama ‘colpi di fulmine’, qualcuno
‘coincidenze’. Io credo che ci sia qualcosa di più. Io credo che ci siano linee
invisibili che percorrono e incidono la terra tessendo connessioni tra passato
e futuro, esseri e cose; linee, percezioni, forze che ci attraggono e ci fanno
provare un desiderio irrefrenabile di conoscere quell’altro da noi che sentiamo
tanto vicino o simile a noi.
Questa è una
riflessione senza alcuna pretesa ‘accademica’ su numeri e geometrie, segni e
‘visioni’ fantastiche presenti nei dipinti di Licini, nata da associazioni e
suggestioni personali e da un’attrazione inspiegabile per quest’artista ‘incontrato’
anni fa quasi per caso grazie ai suoi ‘angeli ribelli’. Non ricordo cosa mi
spinse a visitare quella mostra a Palazzo Reale su un pittore che non
conoscevo, forse la curiosità, forse l’istinto, forse una forza magnetica
misteriosa… ma fu come se uno di quegli angeli si voltasse verso di me, mi
tendesse la mano e m’invitasse a raggiungerlo nello spazio infinito. Che dire? Accettai
l’invito.
Angeli primo amore
(64x77,5 cm - 1955)
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II. Eremita con il naso all’insù
Osvaldo Licini (Lettera a Ermenegildo Catalini detto 'Checco')
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Eremita per scelta,
non era certo un sognatore perso in contemplazione di chissà quali spazi
immaginari o surreali espressioni dell’inconscio. Nei dipinti di Licini il
sogno si traduce in sentimento e fantasia concreti; la sua erranza era
passione e Eros (ἔρως).
Ribelle e melanconico
come i suoi angeli giganteschi, a cavallo tra terra e cielo, che quando
incontrano il proprio riflesso o anima gemella si librano nel tempo più che nello
spazio, tenendosi per mano quasi in una danza.
Licini dipinge il Tempo
non lo Spazio - un tempo senza confini, ‘bergsoniano’ - e lo fa attraverso un
uso particolare del colore, con una profondità data dalla sovrapposizione di
sfumature, una ‘stratificazione’ che non crea pesantezza, ma trasparenza; un
colore soffice, vellutato, come gli occhi di sua madre in uno dei suoi ritratti
di lei più noti.
Vanno visti ‘dal
vivo’ i dipinti di Licini, perché non c'è foto che riesca a cogliere quell’effetto,
la foto appiattisce e omogeneizza l'impasto, la magia la si sente quando si è
di fronte alla tela, e non c’è dimensione che tenga: può essere anche di 13,5x17
cm, si è trascinati dentro, attraverso, oltre.
Come in Leopardi,
per lo spirito libero che anela all’ ‘Infinito’ il desiderio di infinito esiste
tanto più se esiste la siepe, un limite ‘fisico’ che apre all’oltre e diventa
un trampolino ‘verso’. Così la dimensione contenuta dei dipinti di Licini non
limita ma espande lo sguardo, aumenta l’attrazione ipnotica, e ci s’immerge in
quel colore unico, se ne sente, quasi tasta, la magia musicale.
If the doors of perception were cleansed everything would appear to man as it is: Infinite.
William Blake
La solitudine del cocuzzolo non è un’avventura per tutti… c’è chi all’incognito
teatro dell’Infinito preferisce la serena quiete dello “strapaese”.
È un’illusoria
felicità migliore della lucida consapevolezza? Dopotutto, se non ci si accorge
che si sta guardando una pozzanghera e non un oceano sconfinato, se non si è
consapevoli che si sta svendendo la propria libertà di pensiero per paura di
restare ‘soli con se stessi’, tagliati fuori dalla comunità degli altri, forse
si può scambiare la monotonia per serenità e il proprio ‘sogno’ per un ‘segno’.
MA: l'ottone non è
oro, e un raggio di luna che scivola sull’acqua è un mero riflesso della Dea.
L’Effetto Alone è pericoloso, e non sempre se ne è consapevoli, anzi
quasi mai.
Meglio essere
sognatori e accontentarsi della luna nel pozzo o visionari/voyants sempre in
viaggio verso l’ignoto, sempre protesi a un ‘oltre’, a costo di viaggiare ‘soli’?
" (…) les vrais voyageurs sont ceux-là seuls qui partentPour partir; coeurs légers, semblables aux ballons,De leur fatalité jamais ils ne s'écartent,Et, sans savoir pourquoi, disent toujours: Allons!(…) Au fond de l'Inconnu pour trouver du nouveau! "(…) i veri viaggiatori sono coloro che partono per partire;cuori leggeri, simili a palloni,non cercano mai di sfuggire al loro destino,e, senza sapere perché, dicono sempre: Andiamo!(…) nel fondo dell'Ignoto per trovare qualcosa di nuovo!
Charles Baudelaire
Angelo ribelle su fondo blu (Notturno) (73x92 cm - 1954)
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Il viaggio, la
ricerca della conoscenza, non può avere mai fine. Non solo e non tanto perché
il viaggio vale in se stesso (come ‘movimento verso’), ma perché il
senso/significato non è un unico, immutabile, punto fermo da raggiungere, bensì
una forma sfaccettata, molteplice, e in divenire.
Più che in se
stesso, il significato si coglie nell’armonia tra opposti, nelle connessioni
tra elementi, segni, tracce, archetipi che comunque, per quanto ‘visibili’,
sfuggono sempre e si possono comprendere solo in parte.
L'œil ne voit que ce que l'esprit est prêt à comprendre.
Henri Bergson
III. Segni NON Sogni
Osvaldo Licini (Natura di un discorso) |
Segni e non sogni,
ma per sogni Licini qui intende l’illusione/immagine fittizia creata dalla
mente, l’auto-inganno, il trompe‑l’oeil o il sogno ‘deformato’ dei surrealisti,
non certo la ‘visione fantastica’, la “bella irrealtà”.
Sognare è ben diverso
dal cercare di interpretare i simboli; sognare è evadere dal reale,
interpretare è cercare di penetrare al di sotto dell'apparenza visibile per
cercare un senso. Significato e significante.
Nel disvelamento
dei segni non c’è un tentativo di spiegare l’inconscio o definire/delimitare le
tracce, ma solo (‘forse’) di mostrare l’esistenza degli archetipi che sono
attorno a noi, da sempre; certo bisogna saperli ‘invenire’.
La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
(…)
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è,
Nel cuore della sera c’è,
Sempre una piaga rossa languente.
Dino Campana
La sera (114x65 cm - 1950)
Interessante la composizione di questo dipinto. Un incrocio tra il profilo
di un ‘angelo ribelle’ appena tratteggiato (sulla sx) e un’immagine più
definita (sulla dx) che più che la luna ricorda quella di una sirena (‘donna-uccello’,
come era nell’antichità, prima di diventare ‘donna-pesce’). Luna e angelo qui sono
‘opposti’ in armonia, femminile/maschile. Il volto della ‘luna’ è anch’esso una
fusione di opposti: piede/mano, basso/alto. La mano tiene tra pollice e indice
un cuore, sollevandolo perché sia ben visibile. Nell’insieme, ricorda i geroglifici
egizi, o le pitture vascolari dell’antica Grecia, ma anche alcune acqueforti/illustrazioni
di Georges Braque. Linee rette e curve si bilanciano creando un’impressione di
simmetria solo apparente. Sembra di guardare attraverso un vetro o una finestra
trasparente su cui sono state incise le immagini, e anche i due colori
giallo/verde, nettamente separati dalla linea dell’orizzonte (cielo/terra),
paiono inscritti in una coppa la cui curva riprende quella del ‘cuore’. La ‘s’
sul fondo (a sx) forse allude alla ‘sera’, forse al numero ‘6’, forse al
simbolo del serpente.
Due anime vagantisi ancoranocome ricami di medusafra il fondoe la finestra del cielo
Una calda correntele sospende
La sabbia del fondole accende
Un attimole divideOsvaldo Licini
Il ‘segno’ ha in sé il
concetto dell’ ‘incisione’: è il graffito sulla roccia, lo scalpello che
intaglia il marmo, il tratto di matita che disegna o scrive sulla carta.
Una volta assunta
una forma 'riconoscibile', distintiva, il segno diventa ‘simbolo’. Il simbolo
ha un valore unificante, conciliante, ma dinamico (συμβάλλω
- gettare insieme).
È la forza inesplicabile dei simboli che permetterà di comprendere le cose divine.
Giamblico
Segni e simboli
assumono importanza in quanto, evocativi di un concetto (o ‘idea’) al di là del
loro 'aspetto grafico', permettono di avvicinarsi al mistero, all’indicibile,
all’invisibile.
Così, forme geometriche, lettere o numeri possono essere interpretati nel loro aspetto visibile (una ‘forma’ che ricorda un'altra forma a tal punto da sostituirsi a questa, quasi per mero gioco grafico, ad es. un ‘6’, un pesce o una ‘mandorla’ stilizzati al posto di un ‘occhio’) oppure possono rinviare ad archetipi, mantenendo il significato originario di questi o creandone uno nuovo (i.e. il numero ‘6’ e la ‘losanga/mandorla/vulva’ vengono usati non tanto o non solo per il loro ‘aspetto grafico/visibile’, ma per il significato esoterico/archetipico).
Così, forme geometriche, lettere o numeri possono essere interpretati nel loro aspetto visibile (una ‘forma’ che ricorda un'altra forma a tal punto da sostituirsi a questa, quasi per mero gioco grafico, ad es. un ‘6’, un pesce o una ‘mandorla’ stilizzati al posto di un ‘occhio’) oppure possono rinviare ad archetipi, mantenendo il significato originario di questi o creandone uno nuovo (i.e. il numero ‘6’ e la ‘losanga/mandorla/vulva’ vengono usati non tanto o non solo per il loro ‘aspetto grafico/visibile’, ma per il significato esoterico/archetipico).
Licini è eretico/anarchico
anche nell’uso dei segni/simboli/archetipi.
Se da un lato c'è
un evidente richiamo a concetti più o meno noti derivati da letture/frequentazioni
dirette (e.g. Ciliberti) o filtrati attraverso altri artisti con cui è venuto
in contatto (e.g. Kandinsky), c'è decisamente un divertito distacco da rigidi
principi e seriose teorie; lo si comprende dal volto ironico e melanconico
insieme delle sue ‘amalassunte’, dal suo mescolare miti, leggende/tradizioni
diverse.
Licini ‘gioca’ con
gli archetipi, li conosce, ma, un po’ come fa Matisse con i suoi collages, li compone,
scompone e muove sulla superficie per dar vita a nuove forme, nuovi concetti.
La pittura è l’arte dei colori e delle forme libere, liberamente concepite, ed è anche un atto di volontà e di creazione, ed è, contrariamente a quello che è l’architettura, un’arte irrazionale, con predominio di fantasia e immaginazione, cioè poesia.
Osvaldo Licini
Estremamente interessante
è poi il gioco di ombre/specchi e il bilanciamento tra linee compositive, forze
armoniche invisibili, con cui ‘intreccia’ fra loro 'forme' e/o segni.
Il tessuto dei
dipinti di Licini non è mai casuale, segni e colori sono ‘decisi’ (“La pittura
è …anche un atto di volontà e di
creazione.”), come voluto è lo svuotamento progressivo dei segni (la linea si
fa sempre più essenziale, alla maniera di Klee e Modigliani) e la prevalenza del
colore.
Licini non dipinge
allusioni, echi o rappresentazioni più o meno deformate di una realtà parallela
non altrimenti esprimibile (e.g. alla maniera dei surrealisti o di chi
attraverso la visualizzazione del ‘sogno’ cerca di ‘definire’/spiegare l’inconscio),
ma segni, tracce precise, concrete, presenti da sempre attorno a noi,
arche-tipi.
Licini ha lo
sguardo lucido, pienamente cosciente della realtà ‘visibile’, mero limite
fisico che gli serve da trampolino di lancio per librarsi con i suoi missili o
navicelle spaziali a scandagliare il cielo in un viaggio fantastico.
Non vuole
cancellare spazio e tempo, ma espanderli in ogni direzione possibile. Le sue
linee - tracciate ‘decise’ ma ‘imperfette’ a suggerire il ‘non-limite’ e a
dilatarsi - ricordano in parte quelle delle mappe delle costellazioni. Linee
che si uniscono a creare triangoli, quadrati, elementi in equilibrio su un
punto di connessione o liberi di ‘sfiorarsi’ senza toccarsi.
La sua Amalassunta
ha la forma mutevole di un’amoeba, non una geometria netta e definita. I numeri
o ‘segni’ che le fungono da occhi e bocca la connettono a miti e
filosofie antiche: è la Grande Madre, la dea femminile che regola i cicli
delle messi e delle maree. ‘MA’ gli archetipi (numerici e alfabetici) Licini li
reinterpreta con spirito anarchico, si diverte (?) a sostituirli a forme note,
li usa per bilanciare gli elementi compositivi, e così essi vivono di vita loro
‘anche’ a prescindere dal loro significato ‘consueto’.
I dipinti
figurativi, quelli astratti e quelli figurativi fantastici (ah le definizioni
necessarie ma limitanti!) hanno proprio questo in comune: la sua è un’avventura
nello spazio senza confini come le sue tele, uno spazio che si popola di
personaggi che sembrano graffiti intagliati al suo interno e che pur portando
in sé elementi archetipici restano unici, suoi. Sono i suoi compagni di viaggio
o forse riproduzioni parziali del suo stesso spirito errante.
La composizione
non è mai casuale, nel bilanciamento e ritmo delle linee è chiaro come Licini
segua una sua logica ‘costruttiva’, ma figure geometriche e linee sono
volutamente lasciate ‘non nette’, i colori sbordano o riempiono solo
parzialmente le forme; per Licini la geometria è poesia, sentimento e fantasia
non scienza ‘razionale’. C‘è movimento, non rigidità.
Osservando il
punto di tangenza ‘sembra’ che i triangoli nero e rosso siano separati, e più
si fissa lo sguardo più sembrano distanziarsi. Interessante il bilanciamento
delle dimensioni dei triangoli e l’effetto di tridimensionalità/profondità
sorprendente in un dipinto nettamente bidimensionale creato sia dalla
luminosità dei colori e dalla sovrapposizione/sfasamento delle linee che dall’inserimento
di una ‘fascia’ scura laterale lungo il lato del triangolo o spazio bianco in
basso.
Nei dipinti di
Licini c’è una luce magica, che ricorda i riflessi di certi cristalli o delle
opali più rare, una luce a volte densa/lattiginosa, quasi lunare, a volte
trasparente.
Notturno (20,1x28,1
cm - 1931)
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Le linee di Licini sembrano corde musicali, si sentono vibrare nello spazio,
seguendo delle armonie segrete, sottili forze in tensione.
Fili
astratti (1934)
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La geometria può
essere sentimento e poesia, può conciliare le frecce delle forze che puntano in
alto o in basso con croci/tau o gamma a compasso, può armonizzare il triangolo
simbolo maschile con la linea curva femminile, ma è il colore che permette la
‘variazione’ infinita dello spartito e dà libertà al verso poetico.
IV. Segni e colori
Il
segno è forza, il colore è poesia
Licini
ripropone nei suoi dipinti soggetti ‘simili’ (missili, angeli, amalassunte,
olandesi volanti in vascelli ricavati entro la curva di una ‘G/C’ maiuscola),
non gli interessa variare le ‘immagini’, forse potrebbe persino risultare dispersivo,
meglio concentrarsi su alcuni elementi del Cosmo che sta via via scoprendo.
È chiaro che non è
il soggetto come ‘elemento figurativo’ in sé (che
comunque nel suo muoversi e fluttuare dinamico non è mai del tutto ‘eguale’),
ma il colore che gli interessa; ed è attraverso la scelta e la stesura del
colore che crea e penetra nel suo universo fantastico.
L’inverno (50x67 cm - 1951)
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Attraverso la forma e il colore, la pittura unisce in sé scultura
e architettura, alla maniera di Mondrian:
...la Pittura-scultura (neo-plastica)… l'arte delle forme-colore... l'Architettura è compresa nella pittura-scultura.
Osvaldo Licini (Lettera a Carlo Belli - 4 marzo 1935)
Attraverso il
colore e il segno, Licini si muove verso un ‘altrove’ che lo affascina, ma che,
in quanto non delimitato né delimitabile, non potrà mai essere completamente
raggiungibile/sviscerabile. È la sfida che è alla base di ogni 'ricerca', che
prosegue per intuizioni e tentativi e che non potrà mai fermarsi.
Come
dicevo, i dipinti di Licini vanno visti ‘dal vero’: le immagini/foto per quanto
ben riprodotte non riescono a trasmettere la magia di un colore ‘vibrante’, a
volte denso e pastoso (senza essere ‘spesso’), a volte quasi trasparente, altre
invece tanto luminoso da risultare quasi accecante.
È il
colore a fungere da collante tra i segni, la sovrapposizione delle sfumature
che riempie lo spazio o meglio lo crea; ma è veramente uno Spazio fisico o non
è piuttosto un Tempo sospeso?
Un tempo della
pittura che ricorda la concezione del tempo di Bergson. Una ‘molteplicità
qualitativa’ per cui nel continuum si raggiunge la libertà espressiva per compenetrazione
più che conseguenzialità.
Così la
molteplicità è nelle sfumature più che nel soggetto rappresentato.
Non occorre
variare soggetto, basta variare il colore; non è l'immagine in sé, ma il suo
farsi (attraverso il segno che la traccia sulla carta o sulla tela) che
interessa; è nell'atto creativo che l'artista cerca di raggiungere il senso. Poi
gli altri vedranno e leggeranno quello che vorranno o crederanno di vedere nei
suoi dipinti o disegni, a lui non interessa trasmettere un ‘messaggio’, gli
interessa raggiungere e sviscerare quelle forze e segni che ritrova fuori e
dentro il visibile, la sfuggente “bella irrealtà” nell’altrettanto densa
realtà.
L’arte è per noi di natura misteriosa e non si definisce. Confessiamo che la bellezza sfuggirà sempre ai nostri calcoli. Ed è bene che sia così. Come tutte le cose della natura, enigmatica, menzognera, bella, ma con frode. L’importante è che la menzogna sia geniale.
Osvaldo Licini
Come per Klee
anche per Licini l’opera d’arte è genesi, movimento. Licini è irrequieto, i
suoi disegni e studi sono pieni di cancellature, di elementi sovrapposti.
Come Cézanne nelle
ultime raffigurazioni della ‘Montagne Sainte Victoire’ e Matisse nei ‘collages/cut
outs’ (in cui il colore e la composizione/rapporti degli elementi creano una
sintassi originale e suggeriscono nuove dimensioni), anche Licini tende sempre più
all’essenziale nell’uso dei segni e colori, disposti sulla tela come note su
uno spartito o parole su una pagina.
Il colore sfugge
ai confini tracciati dal segno, si tocca e se ne percepisce il suono.
Attraverso la magia estetica si entra in uno spazio misterioso avvolgente e se
ne è incantati, senza riuscire a spiegarne il motivo. Pura sinestesia.
Per Licini un
quadro non deve 'significare' per forza qualcosa, deve innanzitutto procurare piacere,
decorare uno spazio e fermare lo sguardo. Un attimo di silenzio in cui
attraverso il segno/simbolo (la bellezza in sé, senza definizioni) lo spirito
si solleva in una dimensione ‘altra’… quella della Poesia, della Musica.
...l'astrattismo applicato alla poesia... riconduce alla grande arte della Musica... l'arte del ritmo e dei suoni... la poesia è compresa nella musica, che è la poesia per eccellenza.
Osvaldo Licini (Lettera a Carlo Belli - 4 marzo 1935)
Licini era
chiaramente interessato al mutare della forma: lettere e numeri possiedono una
loro intrinseca bellezza, sia quando s’incontrano a formare i tratti di un
volto, sia quando si muovono, solitarie note musicali, sullo spartito/tela, uno
sfondo dalle sfumature mai eguali. Forse è per questa capacità di ‘variazione
tematica’ che spesso mi sono trovata ad associare i dipinti di Licini alla
musica jazz, anche se la volontà compositiva da lui stesso dichiarata, e certe
atmosfere, ricordano più Bach, Mahler, Grieg o Stravinsky.
Licini mi ricorda molto
anche Rimbaud: entrambi percorrevano sentieri non già battuti in solitaria, con
gli occhi rivolti al cielo, entrambi volevano inventare un nuovo linguaggio in
cui la parola e il suono, il segno e il colore, fossero parte integrante del
significato; a tal punto che un termine e suono, e un segno e colore, non
potevano che essere ‘quello’ e nessun altro in rapporto con il resto della
composizione, la ‘tessera giusta’ da inserire nel puzzle. Come Rimbaud, Licini
attraverso segno e colore crea un ‘suo’ linguaggio musicale: i segni sono
note e il colore il suo modo di comporle.
V. Tra il serio e l’irriverente: gli Archetipi
Le immagini, i simboli, i miti, non sono creazioni irresponsabili della psiche; essi rispondono a una necessità e adempiono a una funzione importante: mettere a nudo le modalità più segrete dell’essere. Il loro studio ci permette di conoscere meglio l’uomo, l’uomo tout court, quello che non è sceso a patti con le condizioni della Storia.
Mircea Eliade
Come già notavo,
Licini è conscio delle ‘connessioni’, delle linee e percorsi tracciati nei
secoli sulla ‘superficie’ terra/cielo, un continuum che connette passato e
presente e supera le limitazioni dello spazio visibile e del tempo
convenzionale. Forse il suo è ‘anche’ un gioco grafico, divertito e ironico, ma
certo non inserisce ‘numeri’ e ‘lettere’ o linee, quadrati e triangoli a caso;
del resto, se la sua fosse solo un’irriverente presa in giro di critici e
saccenti accademici che cercano significati e allusioni in tutto, non sarebbe
così ‘perfetto’ o ciclico.
Segni, simboli,
relazioni e coincidenze mi hanno sempre affascinato: caso, sincronicità, fato,
forze ancestrali, echi di miti antichi. M’incuriosisce soprattutto la
ricorrenza nella mia vita di certi numeri, e la loro combinazione; numeri che
quasi sempre ritrovo presenti e ricorrenti anche nella vita delle persone o nei
luoghi che mi attraggono. Forse ci sono davvero delle forze e presenze
misteriose che attraversano lo spazio e il tempo, solo che alcuni le
percepiscono in modo più immediato, istintivo, magari perché meno distratti
dalla quotidianità (sempre più sovraccarica di immagini e logo) o più sensibili
al Simbolo. Così ci sono degli artisti (musicisti, poeti, pittori) con cui sono
entrata subito in sintonia e con cui successivamente ho scoperto di avere
‘numeri’ e ‘lettere’ in comune. Osvaldo Licini è uno di questi.
E dagli archetipi
nascono personaggi e forme originali.
V.I. I numeri
Un “Numero
11”
Nella vita di
Licini ritorna spesso il numero ‘11’, in sé o combinato (2).
Non solo, Licini
‘era’ un Numero 11 (2+2+3+1+8+9+4=11), è nato un 22 (11x2) ed è morto un 11.
L’11 è un numero
particolare in numerologia/esoterismo: è il primo numero Maestro (insieme al 22
e al 33), il ‘Genio’, ma soprattutto è il numero di Prometeo, di chi vuole
spingersi oltre e riesce ad accedere a un grado di conoscenza/coscienza
superiore. È il numero degli illuminati, dei creativi, degli scienziati, degli
idealisti, degli spiriti liberi, dei ‘visionari/voyants’ e dei profeti. Il suo
colore è l’argento, il colore della Luna.
Il numero 11 è un
numero potente, numero primo e palindromo, ma difficile da sostenere a lungo
per chiunque; così, spesso, l’11, numero maschile, si somma ulteriormente e
diventa ‘2’, il numero della ‘Grande Madre’, il primo numero femminile,
associato alla ‘Luna’ (Iside, il volto luminoso; e Ecate, il volto oscuro) e
all’intuizione.
Altri numeri che
ricorrono nella vita (e nei dipinti) di Licini sono il 3, il 4, il 5, il 6 e l’
8.
Il 4 è il numero
della materia, dei 4 elementi (terra, fuoco, acqua, aria), dei 4 punti
cardinali (Sud, Est, Nord, Ovest), è il numero della razionalità, della logica,
dell’ordine, della tridimensionalità, del primo solido, i.e. la piramide simbolo
dell’immortalità/eternità.
Il 4 è dato da 1+3;
la somma del punto (il numero 1, il ‘non numero’ di Archimede, il tutto
indivisibile, l’origine di tutte le energie e cicli vitali) e del triangolo (il
numero 3, il numero della ragione e dell’armonia, legato al concetto
‘trinitario’ presente in praticamente tutte le culture antiche), ma è anche
multiplo di 2, della ‘linea’, quella stessa linea che è alla base della
pittura.
Il 5 unisce il
primo numero femminile (2) con il primo numero maschile (3). È il numero del
pentagramma, della ‘stella a 5 punte’, simbolo del microcosmo, il numero
demiurgo tra terra e cielo, dell’uomo come individuo (l’uomo vitruviano di
Leonardo), simbolo del movimento, del cambiamento di stato (tanto dell’ascesa
dell’uomo quanto della sua ricaduta), dell’energia che domina le forze, e (come
il triangolo) ha valore opposto a seconda se la punta volge in alto o in basso,
simbolo del bene e del male.
Anche il 6, il
numero di Venere, il numero mistico, è ambivalente e può indicare sia
perfezione ed equilibrio che illusione e contraddizione. È il numero degli
antichi Misteri, il numero della prova iniziatica, della stella a sei punte,
che unisce tutte le sei dimensioni (i quattro punti dell’orizzonte, lo Zenit e
il Nadir), del macrocosmo, dell’uomo come parte dell’universo, dato dall’unione
di due triangoli di cui uno punta verso il materiale e l’altro verso lo
spirituale. Gli opposti possono essere in armonia, e quindi indicare elevazione,
oppure in tensione. Alcuni lo associano alla figura dell’angelo.
L’8 significa
‘incognito’; è l’ottagono dei Templari, simbolo del labirinto, ma anche il
compagno, la guida nel viaggio verso la conoscenza cui solo ad alcuni iniziati
è dato accedere. L’8 rovesciato è il simbolo dell’infinito.
Anche nella data
della morte di Licini è presente un 8 (1+1+10+1+9+5+8= 8).
Mi piace
immaginare che quel giorno Licini abbia scavalcato, come uno dei suoi angeli
ribelli, il confine terra/cielo per inoltrarsi nello spazio senza confini…
…o come uno dei
suoi personaggi fantastici abbia raggiunto la sua Amalassunta, magari pure lei
con il ‘naso all’insù’…
…per poi salire su una navicella e proseguire ancora, e poi ancora, ‘più
oltre’.
Viaggio fantastico (21x31
cm - 1955)
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Credo che Licini
non si sarebbe fermato, avrebbe continuato a esplorare, a ‘guardare attraverso’.
V.II. …e le lettere
Non solo numeri,
ma anche lettere (o forme grafiche che le ‘ricordano’) si ripetono nei dipinti
di Licini. Linee circolari, morbide, sinuose, ruotanti, che tendono verso il
centro, a calice, femminili; linee rette, quadrati, triangoli e frecce,
proiettate verso l’alto/spirito o il basso/materia, maschili.
Licini inseriva
lettere e numeri che avevano un significato 'simile' e che per lo più
rinviavano all’armonia di opposti: terra/cielo, femminile/maschile,
umano/divino e all’idea del cosmo.
Era solito
osservare il cielo di notte, dal tetto della sua casa, e forse è per questo che
certe 'figure' e incroci di linee presenti nei suoi dipinti ricordano i
tracciati della ‘mappa celeste’, ma è anche vero che così sono ‘nati’ molti
archetipi e miti, dall’osservazione del cielo e delle stelle.
Emisfero Boreale
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Come i numeri,
anche le lettere sono archetipi, con l'alfabeto costruiamo il discorso (logos)
e ci relazioniamo agli altri. Ogni lettera ha un proprio ‘significato’ nella
sua forma o segno e nel suo essere l'iniziale di parole più o meno sacre. Per
Pitagora le forme corrispondono a numeri, il numero è l’archè o principio primo
della natura, vi è un ordine in ciò che ci circonda, un ordine geometrico e
musicale.
A o alpha o aleph
o numero 1 (i.e. il capo e la guida), indica la ricerca dell'unità del principio,
superando il mondo visibile che è illusione. L’aleph (detto anche il primo
archetipo) significa unione (‘il 3 in 1’) e deriva dal glifo egizio del dio del
sole del mondo terreno e del sole dell’oltretomba, il dio che non si poteva
‘rappresentare’, un po’ come il dio ebraico YHVH non si può ‘nominare’. Come
l’alpha e l’omega, l’aleph (inizio) si ricongiunge al ‘tau’ (ultima
lettera dell’alfabeto ebraico).
La ‘C’ o ‘G’ (maiuscola)
ha la forma di un semicerchio/mezzaluna e significa rotazione, movimento. Rappresenta
la coscienza astratta, la creatività; corrisponde al no 3. Ma C è anche l’iniziale
di Cosmo e G (o gamma) è simbolo della vita terrena ed eterna: Gaia, la dea
primordiale il cui simbolo è per l’appunto una Γ oppure Geb, dio egizio della
terra il cui simbolo è pure una gamma maiuscola ma rovesciata con l’angolo
sulla destra in basso. La ‘gamma minuscola’ (γ) invece ricorda un calice, la
coppa/vaso elemento femminile che ‘contiene’, ma anche ‘le corna del bue’
simbolo di Iside. Considerata una delle Grandi Madri, Iside (solo
successivamente identificata con la Luna) era la dea egizia della fertilità, la
dea benevola dalle braccia alate che tutto trasforma, figlia di Nut (la volta
celeste) e di Geb. Le ‘corna’ di Iside (che racchiudono un disco solare)
ricordano le corna del ‘capro’, degli angeli ribelli e di alcune amalassunte. Le
‘corna’ di Iside per alcuni raffigurano un frutto a forma di pera, aperto, il
cui nocciolo è un ‘cuore’ (da cui pare sia derivata l’immagine cristiana del
‘sacro cuore’ di Gesù/Maria).
Parlando di ‘lettere’, trovo molto interessante un disegno a matita su carta del 1946 raffigurante l’Olandese Volante, un ‘Personaggio’ ricorrente in Licini.
La grande ‘C’
onciale (‘sospesa’ al centro), un po’ goticheggiante, ricorda quella dei capolettera
miniati dagli amanuensi; un quarto di luna o ciò che rimane del ‘vascello’ del
fantasma? Ma è la figura del ‘Personaggio’ al suo interno ad attrarre lo sguardo,
pure lui composto da ‘lettere’, tra cui quella che parrebbe una ‘M’ (che invero
ricorda il tronco di un corpo umano con due braccia laterali), ma anche un ‘3’
o una ‘omega’ rovesciata, simbolo dell’aria. L’intreccio di linee è pure molto
simile a certe rune, ma soprattutto alla lettera aleph. Una delle mani del ‘Personaggio’
pare terminare con un uncino (ma è un numero 5), mentre l’altra con un ‘grafema’
che ricorda un ‘Fehu’ i.e. la prima runa, simbolo stilizzato delle corna di un
bue/ariete che possono connettersi alle forze del Cosmo e originare una nuova
vita. Probabilmente è solo un gioco di risonanza tra simboli e segno grafico, o
forse un ulteriore modo per sottolineare l’importanza del ‘segno’ in sé stesso,
certo un’immagine davvero interessante. Nel disegno compare anche una ‘i’, la
testa del ‘Personaggio’ o un’allusione all’incognito/infinito?
La ‘i’ indica un
moto verso l’interiorità, il centro e la ‘perfezione’. È un simbolo maschile
che raffigura l’uomo. Per i neoplatonici era una lettera misteriosa.
La ‘m’ richiama l’elemento
acqua (anche nella forma ‘ondulata’), indica l’unione di maschile e femminile,
la morte e la rinascita, la fluidità. Per i teosofici corrisponde al numero 4.
Se il 3 è il numero dell’idea, il 4 è il numero della sua realizzazione (per
Platone corrispondeva alla lettera D, o meglio la ‘delta’ maiuscola che in
greco ha la forma di un triangolo (Δ) ed è simbolo del
passaggio dal molteplice all'uno, l’occhio divino, la sorgente della vita). Ma
la M è anche la M di “Mer d a (Paesaggio astratto)” (14x21 cm, 1950).
Un ironico gioco
di assonanze, di nuovo. Anche in alcuni dei suoi scritti (racconti, lettere,
etc.) Licini ha toni ironici, irriverenti, talora ‘caustici’ se non violenti.
La ‘O’ è l'occhio
e, come anche la mandorla/amigdala, rappresenta la soglia fra il ‘mondo
visibile’ e la quarta dimensione. La ‘O’ in quanto circolare è simbolo
dell’utero, della creazione, dell’armonia, ma è anche il serpente che si morde
la coda, simbolo del Cosmo (in molti miti e culti antichi, il serpente non
aveva valenze negative ma significava spiritualità, perfezione e saggezza
divina). La ‘circonferenza’ della ‘O’ ha in sé l’idea del ‘punto’, del centro del cerchio
magico dove convergono tutte le forze primordiali (in ambito cristiano il ‘centro’
della croce diventerà il ‘punto’ sacro da cui irradiano e a cui ritornano le
forze spirituali), ma è anche uno ‘zero’, simbolo dell’Infinito (Nulla o Tutto,
comunque senza ‘dimensioni’) e del Tempo.
La Q congiunge cielo e terra, armonizza ed equilibra gli opposti.
La R è una lettera
che ricorre spesso nei disegni/dipinti di Licini e la sua ‘grafia’ è molto
simile, se non identica, a quella del geroglifico egizio noto come ‘Occhio di
Horus’ (destro indica il sole; sinistro la luna), l’occhio che permette di
comprendere l’universo ed è la misura di tutte le cose. Horus era il dio falco,
‘il lontano’, e anche il profilo della sua immagine ricorda in parte quella
degli ‘angeli ribelli’ (anche Thot, dio creatore e dio della luna con la sua testa
a becco di ibis, il mago che ‘conosce tutto ciò che è nascosto sotto la volta
celeste’, ricorda un po’ certi profili di angeli e amalassunte). Il
riccio/spirale in fondo alla R (a volte ‘ripreso’ nel ‘6’ dell'occhio dell’Amalassunta)
rappresenta il movimento dell'universo che infonde vita/anima a tutto.
Non so quanto
Licini conoscesse l’antica civiltà egizia, i suoi glifi e miti, forse li aveva
mutuati dalla tradizione (molti alfabeti e culti contemporanei e successivi vi
si sono ispirati, senza contare quanti dei simboli e riti delle ‘civiltà antiche’
siano stati assimilati e ‘reinterpretati’ dai primi cristiani, nell’arte
romanico/gotica/medioevale, etc. mantenendo in parte il significato originale) o
forse era entrato più o meno direttamente in contatto con essi frequentando gli
ambienti letterari/artistici di Parigi. Certo che le analogie sono
sorprendenti.
Qui si nota
chiaramente la ‘R’ sul fondo a dx e in basso a sx un ‘6’ o una ‘c’ a spirale
che ‘riprende’ la forma della grande ‘C’ in alto; le tre ‘lettere’ paiono
bilanciarsi, a ‘triangolo’.
Qui invece sembra
che la ‘i’ si sia ‘staccata’ dal corpo del ‘personaggio volante’ e
rovesciandosi abbia originato una sorta di ‘6’ o ‘sigma’ allungato, la ‘R’ è in
basso in posizione simmetrica rispetto alla grande ‘C’. L’impressione è quella
della visione attraverso una ‘lente’ quasi un cannocchiale, il che è
interessante considerando la ‘leggenda’ dell’olandese volante a cui fa
riferimento il dipinto.
La S o sigma
corrisponde al numero 15, indica la forza/energia universale primordiale, è il
numero sacro della notte, simbolo dell’erotismo (il serpente), legato al dio
Pan/Lucifero (3x5, unisce il ‘divino’ 3 e il ‘terreno’ 5). Per gli gnostici il
serpente è simbolo di ‘gnosis’ (‘conoscenza’). Anche per gli antichi egizi il
serpente/cobra era un animale sacro e significava conoscenza e (quando in forma
di ‘s’ o ‘allungato’ a bastone) metamorfosi.
Una freccia
ricurva che punta verso il basso con la ‘coda’ all’insù: la simbologia della ‘S’
si connette a quella della ‘lambda’ (‘Λ’ o ‘λ’) e della ‘T’. La
lambda è una lettera legata al ‘serpente’ e alla simbologia del numero 3. Il
segno grafico della lambda minuscola ('λ') ricorda il ‘Triskele’,
che in greco significa ‘3 gambe’ e in celtico ‘3 raggi di luce’, i.e. la
‘tripla spirale’ simbolo della ‘ciclicità’ (della vita/tempo/cosmo/etc.).
La T (3+4) o ‘tau’
è un segno che ritorna spesso in Licini, soprattutto in forma di freccia/croce. È una lettera/segno/simbolo comune a molti miti. Soprattutto in relazione
all’aleph, il tau ha in sé il significato di ‘fine’ e d’inizio di un nuovo
ciclo. Lettera sia dell’alfabeto greco che ebraico, il tau è ripreso in ambito
cristiano dai Templari e dalla croce di S. Andrea che rappresenta lo spirito
puro (l’uomo divinizzato) che unisce il sotto e il sopra. È anche connesso al
simbolo dell’infinito e del ‘cuore’.
Figura T3 è interessante anche per il bilanciamento degli elementi compositivi a 'orologio': gli occhi, un’amebica 'stella a 6 punte' in posizione simmetrica a un '3', sono disposti in 'triangolazione' (lungo gli assi/lancette della 'tau') con la bocca a ‘O’. Le linee del volto e del collo della figura disegnano un 'calice' a cuore. Il '5' dell'orecchio in alto a dx bilancia altri numeri/lettere (una 'M', un '5', e una 'i' rovesciata) che sembrano affiorare/immergersi nello sfondo 'nero/blu' in basso a sx.
Figura
T3 (19,5 x 25 cm)
|
In Composizione (1948/9), Licini unisce
il simbolo ‘T’ della ‘tau’ a quello della ‘i’ (insieme sembrano quasi un ‘ankh’
stilizzato) in fondo sulla destra si può notare una lettera ‘R’ e in alto una ‘G/C’.
L’ankh (o croce
ansata) è la chiave della vita (legata al mito di Horus e Iside), simbolo di
resurrezione e immortalità. L’ansa in alto è un tipico riferimento al cerchio
solare, ma anche all’eternità, senza inizio né fine. Priva dell’ansa, l’ankh
diventa il ‘tau’, unione di maschile (verticale) e femminile (orizzontale), simbolo
anche dell’albero della vita che congiunge terra e cielo.
La ‘T’ qui ricorda in maniera sorprendente il ‘tau’ dipinto da S. Francesco nel Santuario di Fonte
Colombo (RI).
Il ‘punto’
e la T sono la rappresentazione grafica di 1 + 3 (v. quanto detto prima a
proposito del numero 4). La C ‘onciale’ gotica termina in alto con un ‘ricamo’
che ricorda il naso a ‘trombetta’ di certe amalassunte. La falce di luna, la
‘c’ a spirale/serpente (poi rielaborata come tralcio di vite nel Cristianesimo)
sono evidentemente associati all’idea di forza vitale. La
‘coda’ della ‘T’ ricorda di nuovo la simbologia del serpente, qui allungato/stilizzato
a ‘bastone’, simbolo egizio (ureo/cobra) di potere e di ‘elevazione’.
Come in
‘Testa, mano e serpente (1949)’, la tau si allunga a sembrare un ureo/cobra,
con la testa a freccia che questa volta punta verso l’alto e una coda a forma
di lambda (ancora il simbolo dell’ureo egizio). La lambda corrisponde al ‘12’, numero
sacro per molti miti e misteri, il numero della saggezza per cui l’anima
si ‘libera’ e può ascendere superando la gravità. Il 12 o ‘λ’ torna
anche nella ‘croce cosmica’ (o centro del mondo a sei braccia), intersezione di
alpha e omega, di ‘χ’ e ‘ρ' i.e. di
‘chi’ e ‘rho’, le iniziali del nome greco di Cristo. ‘Christos’ significa
l’unto/il consacrato/il purificato, ovviamente era un termine già usato nelle
cerimonie di iniziazione di riti ‘pagani’ e può aver una valenza più ‘laica’ di
‘prescelto’ (la ‘χ’ è anche il
‘logos’ platonico, l’uomo come microcosmo). Sovrapponendo la chi-rho si forma il ‘Chrismon’, o cristogramma/monogramma di Cristo (derivato
dallo staurogramma, unione di tau e rho), tanto presente nell’arte paleocristiana;
è l’’insegna sotto cui vincerai’ (‘in hoc signo vinces’) di Costantino.
L’iconografia cristiana vi ha aggiunto via via ulteriori significati unendolo soprattutto alla simbologia dell’alfa/omega e della ‘vittoria sul serpente’ identificato con il ‘male’, dimenticando il valore positivo del serpente nell’antichità.
L’iconografia cristiana vi ha aggiunto via via ulteriori significati unendolo soprattutto alla simbologia dell’alfa/omega e della ‘vittoria sul serpente’ identificato con il ‘male’, dimenticando il valore positivo del serpente nell’antichità.
Anche sullo sfondo dell’Angelo
ribelle su fondo blu (Notturno) del 1954 si notano dei
‘segni’ che ricordano il Chrismon
o, piuttosto, il simbolo dell’ankh (nella pic. evidenziato in giallo) intersecato da 5 linee (evidenziate in arancione),
forse i segmenti/vettori di una ‘stella a 5 punte’. In effetti, il tau/ankh
ricorda anche il vincastro o ‘pastorale’ (pure esso di derivazione egizia) i.e.
il bastone delle ‘cerimonie solenni’: l’angelo sta per oltrepassare la soglia
del visibile e addentrarsi nel blu della notte senza tempo.
Nelle
‘croci viventi’ la ‘T’ compare in movimento, in dimensioni diverse, ‘individualizzata’.
Questo disegno fa pensare che forse, in parte, le ‘V’ delle croci, in un gioco di rinvii con il significato simbolico della gamma minuscola, riprendano l’acronimo di Monte Vidon Corrado. I ‘corpi’ in movimento delle croci invece ricordano le linee stilizzate dei ‘capri’ e di certi ‘angeli’ liciniani, quasi fossero dei personaggi ‘senza testa’, forse ‘morti viventi’ o piuttosto esseri ‘viventi’ ma morti dentro.
Ma forse… è ‘solo’
Matematica! Le lettere inserite nei dipinti da Licini potrebbero benissimo
assumere un senso figurato e offrire una chiave di lettura ‘valida’
considerando il ‘significato’ loro associato in matematica/geometria.
VI. Connessioni e composizioni
Noi faremo sempre il nostro porco comodo in arte. Dal reale all'astratto. E dall'astratto io me ne sto volando adesso, in foglie e fiori, verso lo sconfinato e il soprannaturale".
Osvaldo Licini
Certo c’è un
insistere su alcuni elementi piuttosto che altri in alcuni ‘periodi’, ma pure
l’astratto geometrico non è mai del tutto abbandonato una volta ‘scoperto’, così
come il figurativo degli inizi.
La morbida linea
del paesaggio, che ricorda i contorni di un nudo femminile disteso (il respiro
della Grande Madre?), ritorna a sostenere una Luna ammiccante (ironica/erotica
ed enigmatica), attraverso lo Spazio e il Tempo. L’occhio dx sembra un organismo
primordiale/amoeba (simbolo di ‘cambio/trasformazione’ e delle molteplici facce
della Luna), l’occhio sx un numero ‘6’ (o è la ‘nota minima’? i.e. 2/4 o metà
dell’Intero). Il numero è l’archè di tutte le cose e principio armonico/Musica
del Cosmo (Pitagora).
La linea curva
dell’asse centrale del corpo e delle corna del capro ritorna nell’Angelo
Ribelle. Pan, dio della natura profonda e selvaggia, è forse speculare a
Lucifero, l’angelo più bello, prometeico portatore di luce (?); entrambe figure
stilizzate rivolte verso un oltre/altrove che comunque sfugge a/supera ogni
interpretazione limitata/limitante (“Ciò che è in sé e si può concepire per sé…
non necessita per la sua esistenza di altro fuori di sé.”, Spinoza).
E
nell’essenzialità del tratto, si percepisce un continuum tra
solitudine/silenzio dell’istante presente e tracce mnesiche (Platone) del mito
ancestrale.
L’Angelo di Santa
Rosa è un esempio perfetto del ‘continuum a spirale’. Un angelo/missile in
spedizione verso l'infinito, sospeso come il funambolo di Nietzsche tra due
mondi, stilizzato al massimo a ribadire l'importanza se non il prevalere del
segno/simbolo sulla forma mimetica/rappresentativa (l’uomo non dovrebbe crearsi
un'immagine umana del divino). Un angelo ‘geometrico’ (in cui ritorna il
triangolo, simbolo maschile e divino), ma dal 'tracciato/perimetro' non netto
quasi a farlo penetrare sino a scomparire in quel ‘C-osmo’.
Licini
dispone gli elementi compositivi (angeli, lune, numeri, lettere, piedi/mano) lungo
diagonali invisibili e li bilancia tra loro. A unirli è il colore di fondo, un
colore affatto omogeneo ma ricco di sfumature.
La mano con le 5
dita è presente in tutte le culture del Mediterraneo e Medio Oriente come
simbolo ‘femminile’ di creazione e fecondità (il 5 unione di femminile e
maschile, 2+3). La mano contiene un ‘cuore’, ma accanto a lei sulla sx c’è una ‘R’,
come se Licini avesse spostato al di fuori l’occhio divino ‘che tutto vede’ e
lo avesse sostituito con il centro del pensiero/sentimenti. Il numero 5 torna
anche nella stella al centro, indice di movimento/ascensione. Interessante la
numerazione all’interno della luna: la somma degli ‘occhi’ 2, femminile, e 3,
maschile è di nuovo un 5; sono simmetrici rispetto a un 1 e la somma del tutto
è 6, simbolo dell’armonia. La bocca stessa pare un ‘6’ rovesciato, in perfetta
simmetria, o una ‘Q’, comunque anch’essa simbolica di ‘bilanciamento’ tra
opposti. Persino la luna, circolare, incorniciata da una corona/piede e una
raggera ‘solare’, pare alludere all’incontro tra opposti. Sullo sfondo si
individuano delle linee geometriche che ricordano quelle delle croci viventi e
sembrano unire una ‘T’ a una ‘M’, forse simboli di ‘passaggio’ di stato e
(numero) infinito.
‘Piedi e mani’
sono spesso ‘uniti’ da Licini a dare forma a immagini in tensione fra due punti
opposti, la falce di luna stessa a volte ne è una fusione, amoebica.
Composizione particolarmente interessante. A parte la presenza in una
mano di un ‘cuore’ e in un’altra di un ‘occhio’ che ‘puntano’ in direzioni
opposte, le ‘figure’ sembrano vettori di forze che si attraggono e insieme
respingono. Il tutto crea un senso di spazio e movimento ‘rotatorio’, quasi a
orologio, o piuttosto a spirale ('Triskele').
Angelo ribelle su fondo celeste (49x65 cm - 1952)
|
Anche questo dipinto,
di una luminosità incredibile, evidenzia la ‘struttura’ compositiva. Semicerchi
simmetrici, oltre a conferire un ovvio senso di movimento, ricordano le linee
sinuose del serpente e la simbologia del dio egizio Ptah, il dio che ha creato
se stesso e l’universo, protettore di scultori, architetti e pittori. L’angelo
sembra tenerne in mano lo scettro a due punte e indossarne il copricapo, in
alto, sulla dx. La sua bocca sembra una Ψ (psi) rovesciata,
l’iniziale della parola greca ‘psyche’ i.e. l’anima, la forza vitale che veniva
rappresentata spesso come una farfalla, simbolo della metamorfosi, del
passaggio di stato terra/aria (anche la bocca - a due '3' o 'ω'/omega sovrapposti - delle ‘amalassunte’ spesso
ricorda la forma stilizzata di una farfalla).
Le linee diagonali/curve dell’angelo sulla destra bilanciano e
riprendono l’arco della curva della semisfera rossa a sinistra; forse è la luna,
o forse il gigante ora sta cavalcano verso il pianeta rosso.
Il personaggio/angelo/capro
all'interno dei dipinti/disegni di Licini è un osservatore a ‘tutto tondo’,
spostato di lato, come a indicare un punto di fuoco in
una pittura ‘senza confini’ che avvolge, ipnotizza.
Licini ha inventato un suo linguaggio (inventare nel senso di
‘invenire’), lo ha scoperto, disvelato, sempre un po’ di più; come se,
osservando la mappa celeste e gli spazi attorno a sé, abbia via via sottratto materia
alla superficie visibile per raggiungere la linea base, il punto, la lettera,
il numero, l’archè. Il tratto diventa sempre più essenziale, e il colore
trionfa creando un senso di profondità e infinito attraverso la variazione e
sovrapposizione di sfumature.
In questa versione di 'Memorie d'Oltretomba' sono particolarmente interessanti i segni ‘incisi’ che
ricordano l’antico simbolo egizio del semat-tauy, il ‘cuore’ aperto da cui sale
il respiro, il collegamento tra i 2 regni, sud e nord, il loto e il papiro. Il
loto è simbolo di luce e di rinascita a un livello superiore (è il puro che
emerge dalla palude) e dei 4 elementi ed è anche il fiore di Iside; il papiro è
il cobra/ureo, simbolo sacro del potere, del terzo occhio, della conoscenza, la
linea che si solleva e dà origine alla vita, in metamorfosi continua.
La luna (…) una chiarità immensa e strana nel gran silenzio.
La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona. Ora assopito io seguivo degli echi di un’emozione meravigliosa, echi di vibrazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l’emozione meravigliosa si spense. E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente e orgogliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’essere: fluire dalle profondità della terra: il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infinito. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.
Dino Campana
Gli elementi si diradano in paesaggi sempre più essenziali e senza
confini. La linea 'poetica' delle figure geometriche (triangolo,
rettangoli, semicerchi) si muove e prende forma, ora in numeri ora in lettere
ora in personaggi parzialmente composti da queste. Licini sta cercando di
dipingere l'infinito. Sempre più si è trascinati attraverso la magia ipnotica
dei suoi segni e colori verso un punto in profondità; come diceva Agostino,
forse bisogna scendere dentro se stessi per raggiungere la verità e cogliere il
'divino'. Un senso del divino che però non si riferisce tanto al cristianesimo
quanto a miti antichi, le grandi madri, gli archetipi. Un dialogo
uomo-natura-spazio che ricorda le intuizioni dei primi astronomi. Eretico ed
eremita anche in questo viaggio.
VII. Compagni di viaggio
Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a quelli che non possono volare.
Friedrich Nietzsche
Licini è un
eremita sui generis, perché nelle sue esplorazioni nel fantastico si fa
accompagnare da alcune ‘figure’.
Il Personaggio
Un ‘Personaggio' misterioso, fatto di lettere e archetipi (the Man on
the Moon), o il fantasma ‘condannato’ a viaggiare nello spazio?
All’inizio pare ancora sulla terra, predomina
la lettera ‘i’ e una serie di numeri…
La lettera ‘M’ rappresentava ‘1000’ per gli antichi romani, o comunque
un numero molto grande tendente all’infinito. Forse ‘i’ è l’unità immaginaria o
piuttosto il simbolo dell’individuo/uomo. Anche i numeri inseriti (53628) sono
interessanti, sommati (5+3+6+2+8) danno 6 i.e. il numero dell’equilibrio (ma
anche dell’illusione) oppure potrebbero comporre la terna 8-8-8 i.e. il numero
di ‘Cristo’ oltre che un triplice simbolo dell’infinito. Interessanti le linee
che incidono lo sfondo e che ricordano quelle di un cuore aperto e del fiore di
loto.
…poi il ‘Personaggio’ si muove nell’aria, su una barca fatta di nulla,
attraverso la nebbia: una vela stilizzata gonfia contro la tempesta a formare
la curva di una C o G, un albero appena percepibile e uno scafo che sembra la
barra o la corda di un equilibrista.
Personaggio (Ritmo) (20,2x25,5 cm - 1944) |
Come già visto in
altri dipinti, parlando della simbologia delle lettere, anche questi due ‘personaggi’
sono creati dalle ‘solite’ 3 lettere (il tronco una ‘M’, le gambe una ‘A’ e la
testa una ‘o’ minuscola o ‘sigma’) e il tutto incluso in una ‘C’ o ‘G’ (falce
della luna o vascello); solo che qui la ‘C’ pare sorretta (o afferrata) da una
mano gigantesca attraverso la nebbia.
Il ‘Personaggio’ è
ovviamente l’’Olandese volante’, fantasma ‘Gentiluomo’.
Questo disegno credo sia il mio preferito tra i personaggi ‘volanti’.
Estremamente stilizzato, ricorda certe pitture a inchiostro giapponesi. La ‘C’
del ‘vascello’ (qui decisamente più simile a una ‘G’, lettera ripresa anche nel
‘titolo’) è leggermente piegata su un lato a indicare la tensione della vela
contro il vento, un ‘5’ in basso a sx e una ‘R’ sul fondo a dx bilanciano
simmetricamente la composizione delle linee conferendo ancor più un senso di
ondeggiamento al tutto.
Il viaggio in
solitaria è un classico rito d’iniziazione; si lascia il mondo limitato per
aprirsi a un livello più alto di conoscenza, si ampliano gli orizzonti fisici e
mentali.
In realtà la leggenda è frutto di un’illusione ottica che produce
un'immagine sfocata e rovesciata, vista come attraverso la lente di un
cannocchiale, più vicina e più grande di quanto non sia in realtà. La C/G è
quasi una fusione tra la luna e il vascello e quella ‘mano’ che si protende
forse indica come l’immagine sia in realtà un riflesso, ma forse è la Grande
Madre che si alza ad afferrarla per evitare sia risucchiata dal vortice, o
piuttosto è l’ancora che il navigatore solitario getta appena può, per ormeggiar(si)
a uno spazio/tempo definito.
Stando al mito,
l’Olandese volante vive come in bilico tra due mondi paralleli e può scendere
in terra solo ogni 7 anni. 7 è la forma della ‘gamma’ ma anche la punta della
lama, un numero che congiunge le forze cosmiche a quelle terrene, il numero del
‘completamento’ (il 5 unendosi all’1 armonizza il ‘2+3’, il 6 unendosi all’1
‘completa’ il 6). Condannato a peregrinare nello spazio per la sua hybris
(l’uomo che osa sfidare il dio), potrà trovare
liberazione dalla maledizione solo grazie all'amore di una vergine
(Amalassunta/Luna?, Diana/Artemide?, la dea/Vergine assunta in cielo?).
L'Amalassunta
…la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco.
Osvaldo Licini (Lettera a Giuseppe Marchiori - 21 maggio 1950)
La luna di Licini
fa ovviamente pensare a Leopardi, ma anche ai miti antichi, i culti
mediterranei, della Grande Madre e ai misteri di Iside.
La luna è
l’elemento femminile, la luce notturna che si manifesta o cela attraverso le
sue diverse facce. Diana/Artemide, dea dei boschi e della natura selvaggia,
vergine ribelle e altera, amante della solitudine, è stata ‘assunta’ nello
spazio e ora osserva ammiccante e ironica il personaggio misterioso che cerca
di arrampicarsi lungo il suo raggio pensando sia veramente poggiata su un
monte, e raggiungibile.
Il volto della
‘Amalassunta’ è un lampo, un bagliore, una forma in continua trasformazione.
Licini si diverte a variarne l’immagine e, in un gioco di rimandi tra linee in
opposizione, vi inserisce numeri, lettere e elementi antropomorfi: mani che la
incoronano, due dita che le si chiudono attorno a formare una ‘C’, lunghe gambe
che la fanno sembrare più a una cometa e la connettono alla terra, e certe
aureole/corone a raggi (quasi fosse un sole notturno) che ricordano le gorgiere
di Elisabetta I d’Inghilterra, grande ‘Regina’ pure lei.
Una luna
antropomorfa, un ciuffo che punta verso l’alto e pare sovrapporsi a un piede
che punta verso il basso, in opposta direzione, verso una mano che tiene un ‘cuore’
tra le dita. La stella a 5 punte che punta verso l’alto quasi fosse una
navicella spaziale probabilmente allude alla simbologia del no. 5 e del pentagramma.
Una Γ freccia/‘gamma maiuscola’ arancione le incide il volto, gli occhi sono composti da due losanghe/mandorle che ricordano il simbolo dell’infinito e guardano in direzioni opposte. La coroncina/aureola (gialla sulla sx e trasparente sulla dx) forse allude alla dea che ora si svela ora si cela. La luna ‘media’ tra terra e cielo: la mano/corona è aperta verso l’alto, mentre il piede/corpo punta a dx verso il basso, a un’immagine precisa sulla terra, una ‘d’ che pare ‘appoggiata’ all’orizzonte sul mare, una ‘d aperta’, che ricorda una ‘ω’ che si allunga a tridente (simbolo del numero 3, che è una sorta di ‘omega’ rovesciata), ma forse è solo la sagoma di una barca. La bocca di questa Amalassunta è particolarmente interessante. Spesso disegnata da un ‘numero’ o ondulata e simmetrica a ricordare il simbolo dell’infinito, qui mi fa pensare al simbolo dell’AUM (o Om).
Probabilmente è
casuale, ma il significato del ‘3 in 1’
del ‘suono più vicino alla Verità’ - per cui attraverso l’intuizione si può
trascendere la realtà ‘apparente’ (corpo e mente) e cogliere l’infinito - non è
così lontano dal Licini/Olandese volante, in eterna esplorazione del Cosmo. Anche il ‘3’ della bocca della ‘geometrica’ Amalassunta
su fondo giallo del 1954 ricorda un AUM.
Come nell’Amalassunta
su fondo blu, anche qui sembrano sovrapporsi due figure: la Luna e un Angelo,
separati dalla linea netta e decisa del ‘profilo’ al centro ed evidenziati dalla
diversa colorazione degli occhi. E nella mano alzata, ecco il ‘cuore’ di
Licini.
Amalassunta (19,5x28 cm - 1950) |
Questa è una delle mie preferite, estremamente stilizzata su un fondo
rosso/cinabro. La testa a cuore, la doppia curva a 3, evidenziata dall’incrocio
con una morbida T che disegna occhi e naso, che a loro volta richiamano spirale a 6 e mandorla. L’immagine della
Amalassunta/Luna si sovrappone a quella della Grande Madre: è come se questa si fosse in
parte sollevata (colline/mammelle rivelano come sia semi-distesa nello spazio,
terra o mare) e appoggiando il suo volto/cuore sulla mano osservasse
meditabonda il mondo degli uomini. La luna è un’amica sincera, un punto di
riferimento costante nel variare delle passioni e contingenze. Una dea
protettrice.
Una luna che pare
interrogarsi, perplessa. Gigantesca nelle proporzioni, con contorni decisi, ma
aperti: posizionata in alto sulla sx, esce dai confini della tela o meglio li
amplia. Al suo interno, una ‘i’ rovesciata racchiusa tra due 8 che sembrano due
‘infiniti’ (∞) ma forse sono due simboli del
‘principio’ (aperti da un lato, come la faccia dell'Amalassunta stessa) oppure del matematico 'proporzionale a' (∝). La ‘i’ è la lettera del mistero, la
lettera simbolo esoterico dell’uomo e della sua ricerca di perfezione, ma anche
simbolo matematico dell’unità immaginaria.
Questa ‘Amalassunta’ in realtà a me fa pensare più a un ‘Angelo’, con le
ali tratteggiate appena poco più sotto che sembrano un cuore spezzato. Il
profilo mi ricorda quello di Horus, il dio del cielo, della musica, dell'arte e della profezia; ma soprattutto quello di Thot, il dio egizio della notte (creatore della scrittura, della geometria e della misura del tempo), che come corona ha una falce di luna.
Ed in effetti, guardando attentamente l’incrocio di linee sulla destra si può scorgere un ‘ankh’, la croce ansata, che ben si associa alla simbologia della ‘R’, ben evidente in basso a destra. Nell’insieme è un dipinto stupendo per il bilanciamento di linee e colori, estremamente luminoso.
Ed in effetti, guardando attentamente l’incrocio di linee sulla destra si può scorgere un ‘ankh’, la croce ansata, che ben si associa alla simbologia della ‘R’, ben evidente in basso a destra. Nell’insieme è un dipinto stupendo per il bilanciamento di linee e colori, estremamente luminoso.
Un 3 per naso,
come coda un piede con la punta verso il basso, e per bocca un simbolo che
ricorda il ‘personaggio’ a forma di aleph o una ‘farfalla’. È una delle mie
preferite, forse per il colore intenso dello sfondo e quell’occhio che rivolge
in un punto al di fuori della tela, un occhio particolare, incrocio di due
lambda ('λ').
Forme libere o geometriche
I compagni di
viaggio di Licini non sono solo ‘figure antropomorfiche’, ma anche forme
volteggianti nello spazio che ricordano schizzi di inchiostro, simboli
matematici o lettere che volano come palloncini, liberi, e che grazie all'uso
del colore assumono profondità e tridimensionalità.
Oppure costruzioni
geometriche, architetture volanti, missili o navicelle spaziali che a volte si
trasformano in angeli che paiono nastri di colori…
Angelo in azzurro (23x16,5 cm- 1956) |
…o si avvicinano a
una luna dal naso impertinente che sembra una trombetta o un cannocchiale,
comunque “all’insù”.
Ebbene
sì, lo ammetto, per quanto io ami la luce argentea della dea della notte, i
pirati viaggiatori dello spazio, le geometrie sovrapposte che sfidano le forze
gravitazionali e i misteriosi alfabeti di lettere/numeri, i ‘compagni di
viaggio’ di Licini che più amo sono loro, quelli che per primi ho incontrato e
che per primi mi hanno incantato.
Gli Angeli Ribelli
In quel loro danzare nell’aria, leggeri malgrado le proporzioni gigantesche, con quel petto che li fa sembrare degli uccelli, sono molto diversi dagli angeli della tradizione.
Gli angeli di Licini sono ribelli, hanno deposto le aureole,
indossato delle corna a mezzaluna e recuperato la loro sessualità terrena, non
credo siano l’unione di sacro e profano quanto di archetipo e visione futura.
In essi ritrovo l’infinito errare dello sguardo di Licini,
uno sguardo lucido ma sempre pronto a ‘meravigliarsi’ (nel senso proprio del
termine) di fronte al rinnovarsi dello spettacolo del teatro/Cosmo.
Oltre il cielo, un altro cielo, e poi un altro mondo di
segni che si apre... un’altra dimensione ‘fantastica’ in cui viaggiare?
Questo ‘angelo ribelle’ del 1951 è uno dei miei preferiti. Si nota
chiaramente il segno dell’infinito che pare connettere l’angelo al suo
riflesso/ombra nel blu della notte senza tempo; l'altrove, l'altro da sé
attraverso lo specchio/porta tra dimensioni parallele. Non un altrove sur-reale o
meta-fisico, ma un altrove ‘fisico’, raggiungibile seguendo percorsi e
tracciati armonici in un continuum che supera le limitazioni dello spazio
visibile e del tempo convenzionale.
L'angelo o demonio
sospeso nell'aria si inserisce nello sfondo come una nota musicale: il 'daimon' (= spirito)
si volta a guardare ironico e malinconico prima di svanire nell'infinito del
cielo; un cielo ancor più misterioso nel suo colore fatto di sfumature
sovrapposte. Licini dipinge il suo spazio misterioso strato su strato, pennellata
su pennellata: l'infinito non può essere compatto, omogeneo, ci deve essere
sempre un oltre cui tendere, un velo da sollevare o sotto cui scivolare.
Gli angeli che Licini incide o meglio ‘individua’ nella mappa del cielo,
sono linee sottili, musicali, viaggiatori “fatti di nulla” pronti a immergersi
nello spazio senza tempo, pura luce e poesia.
…là nel grande specchio ignudo…in alto
baciato di una stella di luce
era il bello,
il bello e dolce dono di un dio
Dino Campana
VIII. Assonanze
Lasciando da parte i più o meno dichiarati ‘maestri’ (Cézanne, Matisse e
Van Gogh in primis) questi sono alcuni artisti con cui Licini è sicuramente in
‘assonanza’:
P. Klee, col suo uso del colore e della luce, delle geometrie e dei
‘graffiti’, con il suo sperimentare e giocare continuo con forme, tecniche e
materiali, con il suo spirito poetico, musicale e sinestetico; Licini
condivide con Klee anche l’importanza data al disegno e alla linea e
l’interesse per gli elementi contrapposti che si armonizzano pur restando
indipendenti e.g. terra/cielo, demoniaco/angelico, reale/irreale,
maschile/femminile;
W. Kandinsky,
soprattutto quello dell’ultimo periodo, che unisce l’infinitamente grande
all’infinitamente piccolo inserendo sulla tela elementi zoomorfici e
antropomorfici, comunque dinamici; che, alla ricerca dello spirituale nell’arte
e di un linguaggio nuovo nella pittura, comprende la potenza espressiva e
sinfonica del colore-suono;
J. Mirò, che alla
ricerca di un nuovo linguaggio lirico e simbolico rivoluziona ‘linea’ e
prospettiva e scopre nella materia segni e forme essenziali, embrionali,
fluttuanti in uno spazio onirico senza confini ("esistono nei miei quadri
delle forme piccole in grandi spazi vuoti"); anche se i suoi ‘piedi’ e
segni sono più ‘surrealistici’ e i suoi colori primari decisamente più ‘forti’ di
quelli di Licini;
H.J. Arp e S. Taeuber-Arp, con le loro forme in metamorfosi continua, composizioni
di mani/dita/teste e tessuti di geometrie ritmiche e colori;
K. Malevic, con la
sua ricerca di una ‘geometria del sentimento’, cristallizzata in colori dinamici,
luminosi, sospesi nello spazio, pur se tesa all’astrazione ‘suprema’ di forme
non presenti in natura più che ad armonizzare linee e forze opposte;
G. Braque, e le sue
illustrazioni della Teogonia di Esiodo, ricche di segni archetipici, omega rovesciate
e stelle a cinque punte, mani e profili, linee curve che si muovono e
sovrappongono a creare e a suggerire nuove forme in divenire: la genesi del
divino e del Cosmo;
J. Cocteau, in
alcuni profili alati e mitici/mistici a illustrazione del suo Testamento di
Orfeo; anche per lui il segno (scrittura o disegno) è poesia (una lingua né
viva né morta parlata da poche persone e compresa da pochi), anche per lui è
possibile oltrepassare lo specchio e raggiungere un mondo parallelo, lo spazio
puro, e per farlo servono ‘intermediari’, figure mitiche, ma di un mito i cui
archetipi (pure lui) riscrive a modo suo;
F. Melotti, con le
sue linee musicali (anche se decisamente più ‘razionali’) e la leggerezza delle
sue ‘sculture-architetture’ in movimento nello spazio;
C. Brancusi, e le
sue sculture essenziali estratte dalla materia. ‘Uccello nello spazio’ ha un
equilibrio e essenzialità che ricorda certe figure triangolari/’uccelli’
sospesi nella notte di Licini dove il ‘tutto tondo’ è reso dal segno e colore,
mentre la ‘Colonna senza fine’ pare la trasposizione tridimensionale di un
missile di Licini, entrambi protesi verso un tempo e universo infinito o
comunque oltre i limiti fisici;
G. Novelli, e
l’importanza lirica di segno e colore, geroglifici, graffi e tracce incisi
nello spazio attraverso il tempo, da estrarre e riportare sulla tela; la
ricerca di un linguaggio nuovo nella pittura in cui lettere, parole e colori sono
segni liberi e contenuti in se stessi i.e. non alludono a significati altri al
di là del momento in cui si originano e compongono nella genesi dell’opera in
cui l'artista li incontra; il tutto avvolto dalla magia di una luce che ricorda
Klee.
Assonanze, sottili
connessioni… ma Licini resta ‘originale’ e libero da ogni ‘-ismo’. Ovvio, accoglie
e ‘metabolizza’ quanto già fatto, non rinnega certo i Maestri, ma non gli
interessa ripetere o riproporre percorsi già battuti, né gli interessa indicare
nuove vie ad altri; vuole andare oltre, e il suo viaggio verso il fantastico è
del tutto personale.
Un viaggio che mi
ricorda a tratti il Calvino delle Cosmicomiche, un viaggio attraverso il reale (e
gli archetipi) per raggiungere una dimensione altra, ma sempre con una punta di
‘giocosa ironia’ sul fondo della sua navicella spaziale.
IX. Et j’ai vu quelquefois ce que l’homme a cru voir! (A. Rimbaud)
L'uomo è un cavo teso… al di sopra di un abisso… un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi.
La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.…Io amo colui che è di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non è altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare.
…io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo.
Friedrich Nietzsche
Licini è
irrequieto, come dimostrano il suo disegnare ‘ovunque’ - su sacchetti e frammenti
di carta e retro di cartoline postali (‘spazi limitati’ non molto dissimili
dalla dimensione compatta delle sue tele) -, e il suo continuo sperimentare e
riprendere e rifare quanto già fatto (“Io…seguiterò a fare e a disfare, ed a
divorare - preferibilmente me stesso…”. Lettera a Alberto Sartoris, 21 maggio
1941).
La celebre foto
che lo ritrae sul tetto della sua casa a Monte Vidon Corrado, con il naso
all'insù, verso il cielo, è chiara: il suo profilo è deciso e il suo sguardo è
diritto, quell’uomo non era un sognatore, era un ‘visionario’.
Si può descrivere a un cieco com’è quando uno vede?
- Certamente. Un cieco impara alcune cose sulla differenza tra chi è cieco e chi vede. Ma la domanda è mal formulata: come se il vedere fosse un’attività e di tale attività esistesse una descrizione.
Ludwig Wittgenstein
E Mito e Filosofia
si fondono... e si fanno Arte.
I
confini dell'orizzonte si superano, anzi non diventano che un trampolino per
andare oltre il limite fisico e librarsi verso uno spazio Infinito (Leopardi),
denso e pregnante di strati e nuances (Baudelaire) come il Colore sulla Tela
(Rimbaud) alla ricerca del ‘Senso in sé’ (Pitagora/Platone/Agostino/Nietzsche).
Segni
(significato + significante) incisi nello Spazio attorno a noi dall'inizio del
Tempo.
Linee
e Percorsi da 'invenire'.
Simboli
nascosti solo agli occhi che si fermano alla Superficie, alle menti e alle mani
che, perduta la relazione diretta con l'Archetipo (Assoluto e Autonomo, quindi
in sé Originale), ripetono a memoria quanto Appreso (Copia Relativa), compiendo
così un mero atto mimetico che della Magia del Totem (il Dodèm antropologico)
mantiene solo l’ombra (o l’immagine) senza metabolizzarne l'Essenza, senza
sentirne vibrare dentro di sé la Forza Magnetica... e credono di aver
'compreso', mentre sono solo delle Casse di Risonanza, Utili per far rimbalzare
Note e Contenuti ma Sterili in sé, incapaci di 'Creare' nuovi Percorsi, di
aprire ulteriori Squarci.
...in arte, non sono le etichette, le correnti, le chiacchiere quelle che contano, ma solo i fatti, i risultati... mi sento lontanissimo da ogni setta di mediocri ‘sol di boria armati’.
Osvaldo Licini (Lettera a Gemma Licini - 1952)
Una
cosa è conoscere/studiare/replicare Arte/Musica/Filosofia/Poesia (Ah, la
“Pappagallesca Dottrina!”, Alfieri), un'altra è viverle, intensamente, ogni
istante, sulla propria pelle, gioie e cicatrici comprese.
MA...
c'è
sempre qualcuno tra gli 'allievi' dei saccenti ...che si compiacciono del suono
stentoreo della propria voce e del tessuto preconfezionato delle proprie frasi
accademiche... che riesce ad 'andare oltre'.
Ed
ecco che la Vita si sovrappone sino a coincidere con l’Arte e l’Arte è viva e
vitale.
…il mio solo dovere di artista è andare verso l'arte (anche a costo di morire di fame).
Osvaldo Licini (Lettera a M. Cernuschi Ghiringhelli - 1946)
X. …col cuore e col pensiero nella mano...
…the heart. This it is that makes all knowledge originate. The tongue it is that repeats what is thought by the heart.
Dal cuore ha origine tutta la conoscenza. La lingua ripete ciò che il cuore ha pensato.
Trattato di Teologia Menfita
Licini sostituisce
la classica iconografia ‘dell’occhio nella mano’ presente in molti miti
mediterranei e orientali (unione di un vaso/calice e di due semicerchi/lame, i.e.
del femminile e del maschile) e ‘reinterpretata’ dal cristianesimo (l’occhio di
Dio inscritto nel triangolo/mano con la punta all’insù), con un ‘cuore nella
mano’.
Il cuore è da
sempre simbolico centro di emozioni e sentimenti, ma credo che con esso Licini rappresenti
un po’ se stesso all’interno del dipinto/Cosmo. Un po’ come se dicesse: ecco
prendo il cuore nella mia mano e lo porgo a te, Amalassunta, amica delle mie
notti e delle mie esplorazioni nell’infinito, attraverso lo spazio-tempo; offro
il mio essere autentico al tuo sguardo, lo affido a te.
Il cuore è anche
un triangolo rovesciato e simbolo di verità. La verità può essere brutale a volte,
soprattutto quando non la si vuole vedere/sentire.
L’immagine del cuore
era già presente nei ‘Racconti di Bruto’ (scritti da Licini attorno al 1911/13).
Bruto è certo un
nome che richiama la parte ‘bruta/animale/istintiva’ dell’uomo, però anche la
frase attribuita a Cesare “Bruto quando vuole qualcosa la vuole intensamente” potrebbe
adattarsi bene a Licini, che la vita l’ha vissuta davvero ‘intensamente’, anche
quando si è rintanato sul suo cocuzzolo a due passi dal cielo.
Intenso, lirico ed
eretico.
Licini/Bruto è irriverente,
come chi non si cura di ciò che gli altri possono pensare di lui e non esita a
usare parole forti per esprime il proprio dissenso, perché il suono della
parola è importante quanto il suo significato e l’ ‘eccesso’ a volte serve a
scuotere e riscuotere gli animi assonnati, contro ogni retorica e ipocrisia.
Ci sono persone (anche
tra la cosiddetta ‘intellighenzia’) che non sanno interpretare i segni e le
tracce o che semplicemente ‘non vogliono’ vedere la Verità (pur se questa è
tanto evidente da ‘leggersi da sola’), s’illudono (o si lasciano persuadere a
illudersi da abili manipolatori d’immagini) che il loro ‘sogno’ sia reale; e poi
magari chiamano sognatori i ‘visionari’, quelli che invece sono capaci di
‘vedere attraverso’ (…gli altri, le finzioni e le apparenze, le superfici restaurate
e rismaltate o le croste…), quelli che nel ‘pensiero indipendente’ rivelano la
forza dell’Eros (ἔρως) che domina e muove gli opposti,
eretici eternamente in lotta contro il banale e le convinzioni preconfezionate,
irrequieti come il vento nella brughiera, ribelli come i cavalli selvaggi delle
praterie, liberi come gli albatri nel cielo: i ‘numeri 11’.
Tutti gli angeli ribelli guardano a te
anima mia - a te - bella silenziosa
che da lontani astri scivolando
qui sei bene venuta
senza timore di umiliarti
nuda come la rosa
nella capanna del mio perduto amore
per associar la tua sorte al mio destino.
Quale destino tu sai (…)
noi che anche della virtù avremmo voluto fare
un vizio capitale.
Senonché, tu, bella mia
fatta più bella da ogni delusione
t’illudi ancora (…)
Sì - cara amica - soli e sdegnati
ce ne andremo ancora oggi in piena estate
sempre più su tenendoci per mano
al disopra della cosiddetta umanità
verso il paradiso riconquistato
dagli angeli eternamente ribelli
che non furono mai piegati dalla tremenda
malinconia di un giorno
vissuto senza speranza.
Osvaldo Licini
XI. Et mon
esprit, toujours du vertige hanté, / Jalouse du néant l’insensibilité. (C.
Baudelaire)
Questo ‘post’ è dedicato a un amico che non c'è più, ma che mi ha
lasciato dentro un 'segno' netto e indelebile, come una pugnalata sul
palmo di una mano tesa… e su quella mano c’era un cuore.
Riferimenti e links interessanti sono pubblicati su un post separato.
Donatella Gortanutti © 2016
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Molti mi hanno chiesto un .PDF del mio post, ovviamente mi fa molto piacere condividere quello che amo, quindi... ecco il link alla cartella da cui è possibile scaricare il .PDF (alla fine, dopo i riferimenti, ho inserito anche il link alla mia 'Storify' su Osvaldo Licini, qui postata in #Moments, che sicuramente integrerò nel corso del tempo):
Osvaldo Licini - Un pittore e un poeta del colore e del segno che sapeva vedere attraverso
Go raibh maith agaibh !
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